Anche alcuni dei temi cruciali per il mondo delle carceri hanno trovato spazio ieri nella tradizionale conferenza stampa di fine anno della Presidente del Consiglio.
Interrogata da Radio Radicale sui temi della giustizia e della politica penitenziaria, la premier Meloni ha parlato delle carceri italiane rivendicando gli interventi messi in campo – dallo stanziamento di 166 milioni per l’edilizia carceraria al nuovo pacchetto sicurezza, passando per il rinnovo dei contratti degli operatori di Polizia penitenziaria – e colto l’occasione per dettare la sua linea.
In riferimento alla severa condizione di sovraffollamento degli Istituti penitenziari italiani, ad esempio, la premier ha escluso categoricamente un eventuale ricorso ad «amnistie, indulti o svuotacarceri» o a «tagli di reati»: l'unica soluzione strutturale al problema, secondo Meloni, sarebbe quella di «aumentare le carceri».
Per approfondire le necessità del sistema carcerario italiano e le soluzioni prospettate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di ieri, la redazione di TAG24 ha raccolto il parere del prof. Samuele Ciambriello, portavoce della Conferenza dei garanti territoriali delle persone private della libertà e Garante della Regione Campania.
Prof. Ciambriello, nella conferenza stampa di ieri la premier Meloni ha affrontato anche il tema delle carceri. Cosa pensa delle parole della Presidente del Consiglio?
«La prima osservazione che faccio riguarda il riferimento agli indulti e le amnistie. In Italia l'ultimo indulto risale al 2006 e l'ultima amnistia al 1990.
Con questa precisazione intendo dire che parliamo di due istituti previsti dalla nostra Costituzione. I nostri padri costituenti hanno ritenuto che questi due strumenti, utilizzabili periodicamente se approvati dai due terzi del Parlamento, fossero un segnale di civiltà di un Paese democratico e forte che decide di dare una seconda chance a coloro che hanno commesso reati non gravi».
Nel suo intervento la Presidente del Consiglio ha rivendicato tutti gli interventi attuati nel corso di quest'anno, tra cui il pacchetto sicurezza. Cosa pensa di queste misure?
«Nel campo della giustizia, a volte, ci sono delle piccole norme che diventano spie di orizzonti culturali caratterizzati da frenesia punitiva. Se alcuni elementi del dibattito in corso mi vedono contento e coinvolto - come i tempi certi, il minor ricorso alla custodia cautelare e il maggior accesso alle misure alternative - altri aspetti mi preoccupano.
Penso ad esempio al reato di rivolta in carcere. Se in carcere un individuo organizza una rivolta, minaccia i pubblici ufficiali, sequestra i detenuti o provoca lesioni compie ovviamente dei reati che già sono previsti dal nostro ordinamento.
Nel pacchetto sicurezza, tuttavia, si usa il termine "rivolta" per introdurre una fattispecie di reato che può riguardare anche solo tre detenuti. A colpire, in particolare, sono le tre parole contenute nella definizione del reato: "resistenza anche passiva". Cosa significa? Che protestare pacificamente in carcere è reato?
Incriminare la protesta pacifica di chi magari tenta di esprimere i disagi legati al sovraffollamento o alla mancanza di acqua calda e di docce, credo sia sbagliato.
Una protesta può essere certamente oggetto di illecito disciplinare, ma prevedere una condanna da quattro a sei anni mi sembra un tentativo di criminalizzare la disobbedienza pacifica, peraltro solo a carico della categoria dei diversamente liberi. Un cittadino che non è in carcere, infatti, non rischia di incorrere in questo reato».
La premier ha affermato che servirebbero nuove carceri. Cosa ne pensa?
«Per rispondere a questa domanda possono venirci incontro dei numeri, pur sapendo che questi servono solo ad aiutarci ad interpretare la realtà del carcere. Quando parliamo di sovraffollamento, infatti, dobbiamo ricordare che parliamo di tutti i detenuti che perdono la loro dignità, la loro possibilità di reinserimento, venendo ridotti a un numero di matricola.
Nelle carceri italiane ci sono attualmente 60.125 persone: 15.000 in più rispetto alla capienza prevista. Di questi, 2.528 sono donne. Nella mia regione, la Campania, i detenuti sono 7.327.
Mentre noi parliamo, ci sono 9.086 persone che hanno ricevuto una la condanna fino a tre anni: che ci fanno in carcere? Un detenuto 25enne è stato portato ad Airola perché doveva scontare un mese di pena: è fuggito dopo 18 giorni. Da questa storia possiamo dedurre che non è solo "scemo" chi fugge quando deve scontare appena un mese di carcere, ma che in alcune scelte lo Stato sembra vendicativo.
In Italia, poi, ci sono ulteriori 22.000 persone - solo in Campania 2.528 - che sono in carcere da anni e anni e non sono camorristi, pedofili o trafficanti di droga. Queste persone hanno un residuo di pena per cui potranno uscire da qui a pochi mesi o pochi anni.
Se mettessimo in campo più misure alternative al carcere, evitandolo per i piccoli reati, potremmo alleviare non di poco la situazione nelle carceri: con i conti che abbiamo appena fatto ci sarebbero infatti almeno 20.000 detenuti in cella in meno.
Senza contare, poi, i 17.000 tossicodipendenti che sono negli Istituti penitenziari e per il fallimento delle strutture esterne come i Sert o i centri sociali. Spesso sono le famiglie a denunciarli nella speranza si disintossichino: la verità però è che la droga arriva anche in carcere».
Nel 2023, 68 detenuti si sono suicidati in carcere.
«In tutti questi anni, se c'è una cosa che mi ha impressionato sono proprio i tentativi di suicidio e i suicidi consumati da detenuti che erano da poco entrati in carcere o che si apprestavano a uscirne.
Il nostro sistema ha bisogno di mettere nelle carceri psicologi, assistenti sociali, operatori e volontari con la capacità di ascoltare: se parlare è un bisogno, saper ascoltare è una virtù.
Mi faccia dire, poi, che negli ultimi 20 anni ben 25.000 persone sono entrate e uscite dal carcere da innocenti, subendo un'ingiusta detenzione che, per quanto risarcita economicamente, non potrà mai restituire il peso di una simile esperienza.
Ecco perché dobbiamo riformare la giustizia: troppa custodia cautelare e troppi innocenti in carcere».