C'è una piccola ma buona notizia per le lavoratrici di La Perla: il Tribunale di Bologna ha accolto l'istanza presentata dai legali della Filtcem-CGIL e ha esteso il sequestro del marchio a tutto l'asset societario di La Perla Management Uk.
La decisione del Tribunale - che già lo scorso dicembre aveva nominato due custodi e ordinato il sequestro sia del ramo produttivo italiano sia del marchio detenuto nella capitale inglese - arriva dopo la presentazione di un'istanza urgente da parte dei sindacati, determinati a impedire la liquidazione degli asset e la vendita del marchio annunciate dalla proprietà londinese e a salvare il marchio di lingerie di lusso che, dalla sua fondazione nel 1954, ha conquistato tutto il mondo.
L'estensione del sequestro del marchio anche alla società londinese che controlla La Perla costituisce, senza dubbio, un passo importante per salvare l'azienda dalla lunga crisi iniziata nel 2018 con l'acquisizione del brand da parte del Fondo Tennor di Lars Windhorst.
Nell'attesa del 19 gennaio prossimo, quando si terrà l'udienza che «definirà in modo più chiaro le modalità di amministrazione del marchio», la redazione di TAG24 ha raggiunto Stefania Pisani, segretaria generale Filctem-Cgil di Bologna, che da anni si batte, insieme a Uiltec Uil Bologna, per il destino di La Perla e delle sue maestranze.
Pisani, come si è arrivati al sequestro preventivo di tutto l'asset londinese di La Perla?
«Da dicembre abbiamo attivato tutta una serie di meccanismi per impedire lo svuotamento definitivo di La Perla da parte dei liquidatori inglesi.
Tramite i nostri legali, abbiamo chiesto e ottenuto il sequestro preventivo di La Perla Manufacturing srl (l'azienda produttiva) e dei marchi detenuti a Londra.
Durante il periodo natalizio abbiamo continuato a lavorare, insieme a custodi e avvocati, per dare una risposta immediata al problema del pagamento delle retribuzioni. Da ottobre, infatti, le lavoratrici non percepiscono più lo stipendio.
I liquidatori londinesi, in ogni caso, hanno bloccato questi meccanismi. Ecco perché abbiamo deciso di chiedere il sequestro preventivo di tutto l'asset, e quindi anche de La Perla Management UK Ltd che, avendo tutte le funzioni di gestione dello staff, può decidere su una serie di operazioni che potrebbero portare non solo alla riattivazione dell'azienda, ma anche al pagamento delle retribuzioni».
L'ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna vi rassicura?
«L'ordinanza del Tribunale di Bologna, emessa il 12 di gennaio, è un ulteriore tassello finalizzato a mettere in sicurezza la società ed evitare che si realizzino le peggiori previsioni. I liquidatori londinesi intendono infatti vendere per tutelare i creditori. Non hanno dunque alcun interesse nell'assicurare che il marchio sia ceduto a chi voglia e possa garantire la continuità aziendale.
Si tratta di un punto cruciale: noi riteniamo che il valore di La Perla sia strettamente collegato al know-how delle lavoratrici, le quali rappresentano una maestranza unica nel mercato della lingerie e della corsetteria del lusso.
Qualsiasi soluzione che non tenga insieme il marchio con le maestranze non può che determinare la fine di questa realtà aziendale divenuta celebre in tutto il mondo. Anche le lavoratrici, peraltro, senza il marchio si troverebbero senza potenziale di mercato, dato che non esistono altre aziende che operino come La Perla».
Quali speranze riponete nell'udienza del prossimo 19 gennaio?
«La speranza è che venga definita un'amministrazione straordinaria, che vengano sbloccate le retribuzioni e che venga rimesso in moto il meccanismo della produzione e della vendita.
Il 24 gennaio, in ogni caso, saremo con una delegazione di lavoratrici di La Perla davanti il Parlamento europeo di Bruxelles. Chiediamo che anche l'Europa si ponga una semplice domanda: come è possibile che la finanza speculativa possa decidere del presente e del futuro di un Paese, lasciando disastri nei sistemi produttivi locali e nazionali?
La crisi La Perla sta determinando non solo la fine di professionalità uniche del territorio italiano e bolognese, ma sta impattando sul futuro delle nuove generazioni, ingiustamente private di un patrimonio e di una tradizione che non ha eguali.
Vorrei ricordare, inoltre, come sia la collettività a pagare i danni degli speculatori. Ecco perché riteniamo che le Istituzioni, nazionali e internazionali, debbano decidere quale sia il loro ruolo. Vogliono pagare le conseguenze di queste catastrofi sociali o giocare il loro ruolo politico per evitare che la finanza speculativa si mangi il destino di intere popolazioni?
Adesso basta: la politica deve decidere da che parte stare. Noi conosciamo la nostra posizione: siamo dalla parte di chi produce il Pil di questo Paese, non da quella di chi brucia ricchezza e distrugge il futuro.
La vertenza La Perla non ha una dimensione solo sindacale. Ecco perché la politica deve decidere se vuole davvero tutelare il Made in Italy o se vuole solo riempirsi la bocca di slogan. Di chiacchiere ne sono state fatte tante: ora servono i fatti».