Inizierà alla mezzanotte del 22 gennaio lo sciopero della fame di Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, e Roberto Giachetti, deputato di Italia viva e membro della lega internazionale che dal 1993 si batte per l'abolizione della pena di morte nel mondo.
Con l'avvio del "grande Satyagraha" - la forma di disobbedienza civile non violenta teorizzata da Gandhi e in Italia fatta propria da Marco Pannella - Nessuno Tocchi Caino si pone l'obiettivo di avviare di un dialogo con la premier Meloni e con il ministro Nordio, richiamando le Istituzioni alla necessità di intervenire immediatamente per dare risposta al grido di allarme che arriva dalle carceri italiane.
A partire dal senso profondo del Satyagraha – letteralmente forza della verità – Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, e Roberto Giachetti utilizzeranno lo strumento dello sciopero della fame per cercare di aprire un dialogo con le istituzioni e ottenere un impegno concreto a favore delle carceri italiane, specialmente in relazione al tema del preoccupante sovraffollamento che giorno dopo giorno compromette sempre di più l'applicazione del principio costituzionale dell'umanità della pena.
Quella che si avvierà alla mezzanotte di domenica, però, non deve essere intesa come una protesta, ma come "un impegno", come spiega la stessa presidente Bernardini in questa intervista per TAG24, sottolineando il fine costruttivo di un'iniziativa che "non mostra muscoli, ma indebolisce il corpo", come amava ricordare Marco Pannella.
Presidente Bernardini, ci spiega il significato del Satyagraha e l'obiettivo di questo vostro impegno allo sciopero della fame?
«Quella che si avvierà alla mezzanotte di domenica sarà un'azione collettiva che partirà da me e dal deputato di Italia viva, Roberto Giachetti con l'obiettivo di instaurare, attraverso il grande Satyagraha di Gandhi, un'iniziativa di dialogo con il Governo e, in particolare, con la presidente Meloni e il ministro della Giustizia Nordio.
Quello che chiediamo è che si prendano immediatamente dei provvedimenti per ridurre la popolazione carceraria, dato che nei nostri istituti ci sono attualmente 13mila persone in più di quelle che potrebbero essere detenute.
Contro il sovraffollamento carcerario si potrebbe intervenire in diversi modi, a partire dal ricorso all'amnistia e all'indulto. Sappiamo tuttavia che queste soluzioni sono ad oggi difficilmente ottenibili, dato il necessario voto dalla maggioranza qualificata dei due terzi del Parlamento. Anche la stessa presidente Meloni, peraltro, ha ribadito più volte che non avrebbe approvato nessuno svuotacarceri.
Noi siamo convinti però che Governo e Parlamento, non intervenendo nel migliorare le condizioni delle nostre carceri, sovraffollate e lasciate senza personale, stiano violando i diritti umani fondamentali. Lo Stato ha il dovere di uscire da questa situazione di vera e propria flagranza di reato anche perché, ricordo, sul tema del sovraffollamento il nostro Paese è stato già condannato dal 2013 con la sentenza Torreggiani».
Quale soluzione propone Nessuno Tocchi Caino contro il sovraffollamento carcerario?
«Noi abbiamo preparato una proposta, depositata in Parlamento da Roberto Giachetti, sulla liberazione anticipata speciale e ordinamentale per aumentare i giorni di liberazione anticipata - da 45 a 75 per ogni semestre - per quei detenuti che si siano comportati bene. Parliamo di uno strumento, peraltro, è stato già utilizzato nel 2014 all'indomani della sentenza della Corte europea dei diritti umani.
Il nostro obiettivo è poter dialogare con il Governo: è per questa ragione che abbiamo ingaggiato questa forma di lotta non violenta che non è un ricatto, come qualcuno ha detto».
Ha ascoltato il question-time del ministro Nordio? Cosa ha pensato del fatto che il ministro abbia descritto i suicidi in carcere come un "fardello di dolore" purtroppo irrisolvibile?
«Sì, l'ho ascoltato e purtroppo ho sentito diverse inesattezze. Il ministro ha detto, ad esempio, che se solo si potesse mandare il 10% degli stranieri a scontare la pena nei loro Paesi si riuscirebbe a risolvere il sovraffollamento.
Oltre al fatto che questa proposta non è così semplice da attuare - ci hanno provato tutti i Governi - anche se si riuscisse comunque non si risolverebbe il tema del sovraffollamento.
Per quanto riguarda il passaggio sui suicidi, è stata detta una sciocchezza. È chiaro che, in generale, il suicidio sia un qualcosa ineliminabile. Il punto sono le proporzioni: noi sappiamo benissimo che in carcere i suicidi presentano tassi 10 volte più elevati rispetto al fuori.
Bisogna porsi il problema in modo diverso: come mai nonostante le circolari e i protocolli non si riesca a diminuire il numero dei suicidi in carcere? Forse perché il personale di Polizia penitenziaria è ridotto all'osso, così come gli educatori e i direttori?
Aggiungo, poi, il tema della tipologia di detenuti. Nelle nostre carceri ci sono troppi tossicodipendenti e malati psichiatrici, categorie che non dovrebbero trovarsi in questi luoghi assolutamente inadatti a risolvere le loro problematiche.
A questo si lega poi la questione dell'isolamento. Le regole di Mandela per trattamento dei prigionieri e le norme penitenziarie europee indicano chiaramente come l'isolamento debba essere usato in via eccezionale, e sempre per pochi giorni. Eppure molto spesso non è così».
Rispetto alle insofferenze dei detenuti, cosa pensa del reato di rivolta in carcere recentemente inserito nel Pacchetto sicurezza?
«Il Consiglio dei ministri ha approvato il Pacchetto di sicurezza, ma questo non è ancora legge. Con la nostra iniziativa non violenta, comunque, cercheremo di ragionare con il Governo anche di questo tema, chiedendo perché si voglia togliere al detenuto la possibilità di reagire in modo pacifico.
Chi conosce le carceri, peraltro, sa che i detenuti difficilmente riescono ad avere a disposizione il regolamento del loro Istituto. Le ragioni sono diverse, ma il risultato è che tanti istituti si va avanti con norme sparse, con i cosiddetti ordini di servizio.
Poniamo che arrivi un ordine di servizio che stabilisca che nel pacco mensile non potranno più entrare gli alimenti. Se il detenuto disponesse del Regolamento potrebbe magari decidere di impugnare questa decisione di fronte al Magistrato di sorveglianza. In assenza di informazioni, altrimenti, il detenuto potrebbe scegliere di provare a far valere i suoi diritti magari con uno sciopero della fame, esercitando un atto che, secondo questa norma, potrebbe essere addirittura considerato come reato di rivolta.
Ogni cittadino ha il diritto fondamentale di disporre del proprio corpo, come peraltro faremo io e Giachetti con lo sciopero della fame.
Marco Pannella diceva sempre "non mostro i muscoli, ma semmai il corpo che si indebolisce". Ecco: noi mettiamo in discussione il nostro corpo e, in caso di azione prolungata, anche la nostra vita, affinché il potere accetti la richiesta di dialogo di chi si spoglia di tutto per richiedere un confronto. Perché un detenuto non potrebbe fare la stessa cosa?».
Presidente Bernardini, alla mezzanotte di domenica inizierà il Satyagraha e il suo sciopero della fame. Con che spirito affronta questo nuovo impegno?
«Ha detto la parola giusta: impegno. Molti parlano del nostro gesto come una protesta, ma non è così: noi non protestiamo, casomai proponiamo, assumendo un impegno verso una determinata direzione.
Se mi chiede con che spirito affronto questo impegno, le dico che è lo spirito di chi si rende conto di quanto disagio e quanta sofferenza ci sia nelle carceri d'Italia.
L'ultima visita che ho fatto è stata a Santa Maria Capua Vetere. Entrando nel reparto di articolazione psichiatrica abbiamo incontrato diversi giovani che, seppur con lo sguardo perso, ci hanno trasmesso un'umanità incredibile. Un ragazzo ci ha recitato una poesia, un altro voleva rimanessimo tutto il giorno con loro. Con un altro ci siamo stretti forte le mani, perché le sue erano freddissime.
Ecco: è da questi momenti intensi che trovo la carica».