Un selfie davanti a un tavolo pieno di bottiglie di vino e birra: è ciò che ritrae l'ultima foto pubblicata sui social da Luca De Bonis, il 33enne di Appiano Gentile fermato ieri sera per l'omicidio dell'amico Manuel Millefanti, trovato morto in casa dalla madre alle prime luci dell'alba di lunedì 22 gennaio.
"Per stasera bastano, dai...", recita la didascalia che accompagna l'ultima foto pubblicata sui social da Luca De Bonis per annunciare l'inizio della serata a casa dell'amico Manuel Millefanti, che qualche ora dopo sarebbe stato trovato morto in casa dalla madre ad Oltrano di San Mamette, nel Comasco, con evidenti ferite da arma da taglio sul corpo.
L'aveva chiamata poco prima, dicendole di essere stato accoltellato, per farsi soccorrere. Quando la donna era riuscita a recarsi sul posto, per lui, però, non c'era già più niente da fare. Secondo gli inquirenti che lo hanno tratto in arresto nella serata di ieri, sarebbe stato De Bonis - provato dall'alcol - a colpirlo, uccidendolo con una sola coltellata, sferrata dall'alto verso il basso tra il pettorale e la scapola.
Quando è stato fermato, camminava da solo per le strade del paese. A suo carico i carabinieri avevano raccolto già diversi indizi di colpevolezza. Resta un mistero il movente, anche se non si esclude che i due possano aver litigato per futili motivi dopo aver passato la serata a bere.
Interrogato, De Bonis (con diversi precedenti per droga) avrebbe ammesso le proprie responsabilità, sostenendo però di aver solo cercato di difendersi da una presunta aggressione di Millefanti. Per questo, nei suoi confronti, il gip ha disposto la misura cautelare del carcere.
L'omicidio di Manuel Millefanti ricorda quello di Pierpaolo Panzieri, consumatosi in via Gavelli, a Pesaro, la sera del 20 febbraio scorso, per mano dell'amico Michael Alessandrini. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, il 30enne, reo confesso, avrebbe colpito il coetaneo con 13 coltellate alla gola e alla schiena dopo aver scoperto che aveva avuto dei contatti con quella che lui riteneva essere la sua fidanzata (che ha smentito la relazione).
Fermato in Romania dopo essersi dato alla fuga a bordo della sua auto, aveva rifiutato l'estradizione sostenendo che, se fosse tornato in Italia, i servizi segreti l'avrebbero ammazzato. Poi aveva dato l'ok, riferendo di aver compiuto il delitto in nome del dio ebraico Jhavè. È probabile che, se non fosse stato fermato, si sarebbe scagliato contro altre persone. Sembra, infatti, che sia affetto da gravi disturbi psichici.
Gli stessi per cui, nel corso del tempo, in tanti lo avevano allontanato. Panzieri, che lo conosceva dai tempi dell'asilo, gli era rimasto accanto. E la sera del delitto lo aveva invitato nell'appartamento che aveva da poco preso in affitto per trascorrere con lui la serata. Il giorno successivo, quando la sorella era andata a cercarlo perché non si era presentato sul posto di lavoro, oltre al suo corpo senza vita aveva trovato, sulla tavola, gli avanzi della cena che avevano consumato.
Ora Alessandrini si trova in carcere a Pesaro: secondo i giudici, nonostante sia seminfermo di mente, può essere recluso. Così come può stare a processo: dovrà rispondere, in aula, dell'accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. La prima udienza si terrà il prossimo 5 febbraio, a quasi un anno dai fatti dei quali è accusato.