Emergono nuovi dettagli sull'omicidio di Martinengo: stando a quanto riporta Il Corriere della Sera, prima di uccidere il marito Diego Rota Caryl Menghetti avrebbe minacciato di fargli del male, venendo ignorata dagli psichiatri da cui era stata visitata la mattina stessa all'ospedale di Treviglio. I fatti risalgono allo scorso 25 gennaio.
La donna, di 45 anni, era stata portata al pronto soccorso in ambulanza di prima mattina: quando era stata visitata dagli psichiatri di turno dell'ospedale di Treviglio, in preda alle allucinazioni aveva detto loro di voler uccidere il marito Diego Rota, venendo ignorata.
Chi l'aveva udita aveva infatti attribuito le sue frasi al suo stato di alterazione: non si aspettava che potesse farlo davvero. Quando era stata dimessa, con le indicazioni di una cura farmacologica da seguire a casa, Caryl però non era migliorata.
Dopo aver aspettato che la figlia di cinque anni andasse a dormire, la sera stessa ha impugnato un coltello da cucina, colpendo ripetutamente il marito nella loro camera da letto. A dare l'allarme, mettendosi in contatto con il 112, era stata la sorella, che poco prima della mezzanotte aveva ricevuto una videochiamata dalla donna, ancora sporca di sangue e delirante.
Sembra che da un po' soffrisse di problemi psichici e che tre anni fa fosse stata addirittura sottoposta a un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio, per i suoi comportamenti aggressivi, venendo ricoverata per diversi mesi proprio a Treviglio. L'ipotesi è che non fosse in sé e che abbia quindi agito per futili motivi.
Per fare luce sull'accaduto gli inquirenti stanno lavorando senza sosta. Ieri, 26 gennaio, hanno sequestrato il piano terra dell'abitazione in cui si è consumato il delitto e il coltello usato dalla 45enne per aggredire il marito, che ai più era noto per la sua ditta di falegnameria. I vicini di casa li ricordano come una coppia "riservata e tranquilla", che mai aveva dato problemi. La figlioletta, su disposizione della Procura per i minori, è stata affidata a dei familiari.
L'omicidio di Martinengo segue di poco almeno altri tre delitti che nella Bergamasca hanno visto coinvolte persone con problemi psichiatrici o facenti uso di sostanze. Si pensi poi al caso di Giulia Lavatura, la donna che si è gettata da un balcone al nono piano di un palazzo di via Dradi, a Ravenna, con in braccio la figlia Wendy, di 6 anni, e la loro cagnolina, entrambe morte sul colpo.
Sembra che avesse subito due Tso, nel 2014 e nel 2017, e che durante il ricovero i medici le avessero diagnosticato una forma di disturbo bipolare. Prima di lanciarsi nel vuoto da un'impalcatura adiacente allo stabile in cui viveva insieme alla sua famiglia su Facebook aveva pubblicato un lungo post in cui incolpava il padre di avere conoscenze al Centro di salute mentale e di controllarle i dosaggi delle medicine e il marito Davide Timò, ingegnere, di non supportarla abbastanza.
Secondo gli esperti che hanno analizzato le sue parole, nella "visione offuscata" che aveva sviluppato il suo era "un atto d'amore": togliendo la vita alla sua bambina e a sé stessa - oltre che alla cagnolina - sperava di proteggerla dall'odio che percevipa da parte delle persone che le erano vicine. Se avesse ricevuto le cure di cui aveva bisogno, forse poteva essere fermata.
Al tentato suicidio è sopravvissuta, "ma è morta dentro", riferisce qualcuno. È accusata di omicidio volontario pluriaggravato e uccisione di animali. Bisognerà capire, però, se al momento dei fatti fosse capace di intendere e di volere: in caso contrario non sarebbe imputabile.