Abbiamo imparato a conoscerlo meglio durante la pandemia da Covid-19, in uno dei momenti di più drammatici della storia del nostro Paese. Docente universitario, microbiologo di fama mondiale, divulgatore scientifico e, da settembre 2022, Senatore della Repubblica nelle file del Pd.
TAG24 ha intervistato il professor Andrea Crisanti per approfondire la questione dell'autonomia differenziata, un argomento di cui si parla tanto in questi giorni ma che pochi hanno realmente compreso nella sua complessità e totalità.
Abbiamo parlato anche di sanità, con l'ormai cronica emergenza delle liste d'attesa e di pandemia e della polemica relativa alla bozza del nuovo piano pandemico, in fase di elaborazione da parte del Ministero della Salute.
D: Senatore, la scorsa settimana il Senato ha dato il primo via libera al Ddl Calderoli sull'Autonomia Differenziata. Una riforma che non piace alla sinistra, ma soprattutto non piace agli amministratori locali delle regioni del Mezzogiorno spaventati dal rischio di un aumento del gap tra regioni ricche e le aree svantaggiate del paese. I timori maggiori riguardo le ripercussioni sulla sanità e soprattutto su quella territoriale. Quali sono i rischi reali legati all'autonomia differenziata?
R: Sull'autonomia differenziata bisogna fare una distinzione tra la sanità e le altre materie che saranno progressivamente di competenza regionale. Per quanto riguarda la sanità il problema non è tanto a breve termine ma a lungo termine.
D: In che senso?
R: La sanità è già ampiamente devoluta e le regioni a questo punto avranno solo un più ampio margine per fissare remunerazioni per i dipendenti, investimenti e eventualmente anche il tetto della spesa entro certi limiti. I problemi, però, sono legati principalmente alla distribuzione della fiscalità che per il momento avviene sullo storico e a lungo termine questo sistema diventerà un problema perché la popolazione si muove, cambia e invecchia. È evidente, quindi, che una volta ridistribuito lo storico per regioni ancorandolo alla fiscalità futura, tra diversi anni si creerà una situazione tale da allontanare le regioni le une dalle altre.
D: Lei ha detto che bisogna fare una distinzione tra la sanità e le altre materie ancora non devolute che progressivamente diventeranno di competenza regionale, perché?
R: Perché è su queste materie che si avranno maggiori ripercussioni a breve termine, pensi al trasporto, alla scuola alle politiche energetiche. Tutte queste competenze potranno essere devolute alle regioni che ne fanno richiesta e le regioni in questo momento non hanno né le competenze né le infrastrutture per trattare queste materie, quindi, è evidente che sarà un processo estremamente lungo e penso anche caotico che avrà ripercussioni sui servizi stessi.
La legge approvata in Senato (Ddl Calderoli, n.d.r.) è una legge diciamo quadro, che facilita l'autonomia differenziata, ma di fatto delega al Governo l'attuazione dell'autonomia attraverso la definizione dei Lep per quello che riguarda il sociosanitario, e per tutto quello che riguarda una serie di aspetti qualitativi delle altre prestazioni che dovrebbero essere regolati da decreti del Presidente del Consiglio.
In più c'è anche un aspetto importante che è stato sottovalutato e cioè che questa gigantesca ristrutturazione dell'amministrazione statale richiederà risorse importanti e di fatto, in questo momento, l'autonomia differenziata è agganciata alla manovra quindi significa che deve essere effettuata senza variazione di spesa.
D: Alla luce di queste incognite perché si è accelerato per l'approvazione del Ddl Calderoli?
R: Io penso che in questo momento questa legge serve più ad un partito, la Lega, per far vedere che hanno un peso nel Governo e in qualche modo portano a casa quello che era un pezzo del loro programma identitario. Io penso che neanche la maggioranza che lo ha approvato sa quali saranno le conseguenze a breve e a lungo termine sulle varie materie. Per ogni materia dovrà essere istituita una commissione che valuta le prestazioni delle regioni, questo necessariamente aumenterà la burocrazia da una parte e dall'altra renderà molti atti difficilmente controllabili. Questo aspetto qui lo vedo molto complicato.
D: Uno degli argomenti che utilizza la maggioranza per rispondere alle critiche è che alcuni dei presidenti di regione erano favorevoli, che in passato il Partito Democratico ha contribuito al Titolo V della Costituzione.
Tutte cose di cui il Partito Democratico si prende la responsabilità, però questa retorica che utilizza la maggioranza di dire 'l'avete fatto voi, o non lo avete fatto voi' deve finire perché gli elettori in qualche modo hanno giudicato cosa è stato fatto e hanno espresso il loro giudizio.
Il Partito Democratico ha preso atto del giudizio degli elettori e credo stia comprendendo le ragioni della sconfitta. Il problema è che la maggioranza, in modo particolare in Fratelli d'Italia, non hanno capito le ragioni per cui hanno vinto, perché continuano a fare le cose per cui hanno accusato noi prima. Io penso che loro se possibile stanno facendo più errori di quelli che hanno fatto i partiti che prima stavano al Governo.
D: Anche la segretaria del Pd, durante il premier time alla Camera ha sottolineato questo aspetto, ovvero la tendenza della maggioranza di continuare ad agire come se fosse opposizione.
R: Continuano a fare opposizione all'opposizione. Io penso sia giunto il momento di prendersi le proprie responsabilità dopo sedici mesi e capire perché gli elettori li hanno votati, cosa che secondo me ancora non hanno capito.
Chiaramente quando uno li rimprovera sulle cose che non hanno fatto, loro rispondo 'non lo avete fatto neanche voi' ad un certo punto questa cosa non regge più.
D: Restando sul premier time e sull'interrogazione sul tema della sanità presentata dal Pd e dalla segretaria Elly Schlein. L'hanno soddisfatta le risposte date dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni?
R: È una risposta che di fatto mistifica la realtà. È una bugia e le faccio un esempio. Nella manovra c'è una misura – di cui tra l'altro si sono vantati – che prevede lo stanziamento di 600 milioni per le liste d'attesa tra le altre cose a disposizione delle strutture private, poi lo stesso Governo ha chiesto alla Comunità Europea di spostare gli investimenti sul rinnovamento di tutta l'apparecchiatura tecnologica della sanità, compresa della strumentazione diagnostica. Questo significa che gli ospedali devono continuare ad usare i vecchi macchinari che hanno da anni e che non sono stati mai cambiati e questo ha un impatto gigantesco sulle liste d'attesa. Si rende conto? Noi abbiamo un'infrastruttura strumentale vecchissima e nel Pnrr ci sono 1,2 miliardi per rinnovarla e il Governo cosa fa? Negozia con la Comunità Europea il rinvio di questa spesa.
D: E perché? Qual è l'utilità di questo rinvio?
R: Non si sanno le ragioni di questa cosa che avrà un impatto gigantesco sulle liste d'attesa. Immagini quante persone che leggeranno quest'intervista hanno sperimentato il fatto di essere andati in ospedale e di non aver potuto fare un esame perché magari la tac si era rotta o l'ecografia non funzionava. Ecco queste sono tutte cose che impattano sulle liste d'attesa. È chiaro che quella del Governo è tutta demagogia.
D: Avrà avuto modo di vedere la polemica relativa alla bozza del piano pandemico, che idea si è fatto?
R: I piani pandemici per quanto nuovi non possono essere troppo differenti da quelli vecchi perché il controllo e la dinamica di un'epidemia sono affidati a misure che sono codificate ormai da 50 anni e sono sempre le stesse. Un piano pandemico fondamentalmente ha due obiettivi, il primo a breve termine è quello di proteggere e mantenere l'operatività del servizio sanitario nazionale in caso di emergenza e a medio e lungo termine quello di proteggere la popolazione.
Quello che può cambiare sono i meccanismi di allerta e monitoraggio.
Questo piano pandemico, invece, manca di un aspetto fondamentale e cioè identificare chiaramente la catena di responsabilità e mettere in chiaro le conseguenze di chi non lo applica.
D: Un’ultima cosa. Lei condivide l'analisi di alcuni sui colleghi che affermano che il Covid è stato sconfitto?
R: Sì, fondamentalmente è una situazione di fatto. Il virus continua in qualche modo a cambiare, i vaccini che abbiamo sviluppato sono in grado di contenerlo e la maggior parte della popolazione è immunizzata. È chiaro che non sappiamo fino a quando questa situazione di equilibrio rimane, ma in questo momento non ci sono elementi che possano indurre a denunciare un allarme.