In dei messaggi inviati alle amiche quando era ancora il suo fidanzato, Giulia Cecchettin ammetteva di avere paura di Filippo Turetta, il 22enne di Torreglia che pochi mesi dopo sarebbe finito in carcere a Montorio con l'accusa di averla sequestrata e uccisa, occultandone il cadavere nei pressi del lago di Barcis. A parlarne è stata la trasmissione televisiva "Quarto Grado", che ieri, 2 febbraio, in occasione del conferimento della laurea post mortem alla giovane, è tornata ad occuparsi del caso.
scriveva Giulia Cecchettin alle amiche, raccontando loro quanto accaduto in giornata a lezione.
Da un po' le rimproverava il fatto di trascorrere "troppo tempo" con le amiche e con i familiari e di "tralasciare" la loro storia. Giulia si sentiva felice, ma al tempo stesso, forse, aveva iniziato a sospettare dei suoi comportamenti ossessivi.
Poi raccontava loro che sulla strada di ritorno dalle lezioni il ragazzo aveva provato a convincerla a non vedere le sue colleghe, oppure a fare in modo che l'invito fosse rivolto anche a lui, additandola come una persona "cattiva" e minacciandola di lasciarla, se le avesse viste da sola.
concludeva nei messaggi, sperando che le amiche potessero aiutarla a capire cosa fare con il ragazzo. Ad agosto, stufa dei suoi atteggiamenti, alla fine lo aveva lasciato. Ma lui la obbligava comunque a vederlo e a sentirlo: altrimenti, le diceva, si sarebbe ammazzato.
L'11 novembre era passato a prenderla a bordo della sua Grande Fiat Punto nera per accompagnarla al centro commerciale "Nave de Vero" di Marghera, dove lei avrebbe dovuto acquistare delle scarpe da indossare alla sua festa di laurea.
Dopo aver cenato a un McDonald's, quella sera si erano rimessi in macchina e a circa 150 metri dall'abitazioni di lei, a Vigonovo, un uomo li aveva visti litigare animatamente in un parcheggio, avvisando le forze dell'ordine (che però erano arrivate tardi).
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, in quei momenti Turetta avrebbe colpito Giulia una prima volta; un quarto d'ora dopo l'avrebbe uccisa, con un coltello, nella zona commerciale di Fossò, caricandola inerme in auto e abbandonandone il corpo nei pressi del lago di Barcis.
Poi si era dato alla fuga: sarebbe stato fermato nei pressi di Lipsia, in Germania, e portato nel carcere di Halle, quasi una settimana più tardi. Davanti al pm titolare dell'inchiesta per omicidio aperta in Italia ha già confessato.
Nel carcere di Montorio Veronese - tristemente noto per i numerosi casi di suicidio tra i detenuti - è stato a lungo recluso nel reparto infermeria, in cella con un uomo condannato per reati simili che aveva accettato di tenerlo d'occhio per evitare che compiesse gesti autolesionistici.
Ai poliziotti tedeschi che per primi lo avevano interrogato aveva infatti detto di volersi togliere la vita, ma di non aver trovato il coraggio di farlo. Al momento è accusato di sequestro di persona e omicidio volontario aggravato dal vincolo affettivo che lo legava alla vittima.
Non è escluso, però, che gli vengano contestati altri reati, come quello di occultamento di cadavere, e altre aggravanti: tra le tante, quella dei motivi abietti e futili e dello stalking. Bisogna capire, poi, se avesse premeditato l'omicidio: gli oggetti rinvenuti all'interno della sua auto - tra i quali una sim prepagata e del nastro adesivo - farebbero pensare di sì. Si aspettano, per averne la certezza, i risultati degli accertamenti.