C'è una svolta nel caso di Ciccio e Tore: a sedici anni dal ritrovamento dei corpi dei due fratellini di Gravina di Puglia scomparsi nell'estate del 2006 e trovati morti due anni dopo nella cisterna del rudere abbandonato rinominato "casa delle cento stanze", i consulenti legali che assistono la madre e la sorella avrebbero acquisito "nuove prove" per chiedere la riapertura delle indagini.
L'ipotesi è che quelle passate non abbiano fatto pienamente luce su quanto accaduto ai due ragazzini di 13 e 11 anni, in particolare sulle responsabilità che le persone che erano con loro al momento dei fatti potrebbero aver avuto prima e dopo la loro caduta nel pozzo. Ne abbiamo parlato con l'avvocato Giovanni Ladisi, che si sta occupando della preparazione dell'istanza da presentare alla Procura di Bari.
"Ho ricevuto incarico da Filomena Pappalardi (la sorella di Francesco e Salvatore, ndr) di presentare una richiesta di riapertura delle indagini. Ho raccolto un po' di documenti, ho esaminato una parte dei faldoni relativi al procedimento precedente e ora (con i colleghi) stiamo preparando l'istanza, che si fonda su alcuni elementi di novità che ci sono stati raccontati e su una rivisitazione di elementi già esistenti", spiega l'avvocato Giovanni Ladisi.
Quando parla di una "rivisitazione" si riferisce a piste che in passato sono già state vagliate, ma ancora meritevoli di attenzione. Piste che rinvierebbero alla "cerchia di ragazzini che in qualche modo sarebbe venuta a conoscenza dell'accaduto - prosegue il legale -. Ciò che penso io, in linea di massima, è che sia stata una bravata sfociata in una disgrazia, che dei ragazzini siano andati oltre la tollerabilità. Poi su questa disgrazia tutti hanno omesso e questo potrebbe portare a ipotizzare - sempre in astratto - una sorta di dolo eventuale con omicidio".
L'ipotesi cioè è che Ciccio e Tore non fossero soli, quando, giocando, caddero nella cisterna in cui il 25 febbraio del 2008 furono trovati mummificati dai soccorritori intervenuti per portare in salvo un altro bambino precipitato nel pozzo, Michele Di Nardo. I due ragazzini, di 13 e 11 anni, potrebbero essere stati sfidati da altri bambini a una prova di coraggio. Bambini che poi - su consiglio di qualche adulto - avrebbero taciuto sull'accaduto. Se avessero parlato, almeno Tore oggi, forse, sarebbe salvo: stando agli accertamenti, sarebbe morto di stenti almeno due giorni dopo il fratello, deceduto a causa delle ferite riportate dopo la caduta.
L'obiettivo dei familiari dei fratellini di Gravina di Puglia è arrivare alla verità. "Non accusiamo nessuno, riteniamo semplicemente che ci siano delle lacune che devono essere colmate in termini di accertamenti", ha concluso l'avvocato Ladisi.
Alle sue assistite è stato negato, di recente, il risarcimento chiesto al Comune della cittadina pugliese e all'Edilarco, la società che gestisce il rudere abbandonato e che avrebbe dovuto assicurarsi di tenerlo chiuso.
Secondo la giustizia, infatti, la morte dei due bambini sarebbe dipesa da "un caso fortuito". Una conclusione semplicistica, secondo la famiglia, che ha sempre creduto che dietro la loro scomparsa si nasconda molto di più di quanto non sia emerso fin ora.
E che le indagini condotte in passato, che riguardarono anche il padre dei due bambini, finito in carcere da innocente e poi rilasciato, si siano fondate su dei pregiudizi e abbiano tralasciato aspetti importanti, che anche dopo 16 anni dai fatti, soprattutto dopo 16 anni dai fatti, andrebbero accertati.