"Mi sia consentito di ripetere che sono innocente, non ho ucciso nessuno, drogato nessuno, né rubato farmaci, e ne daremo prova". Lo ha dichiarato l'ex medico della Virtus Bologna Giampaolo Amato nel corso dell'odierna udienza del processo che lo vede imputato per la morte della moglie Isabella Linsalata, di 62 anni, e di quella della suocera Giulia Tateo, di 87. A riportarlo è l'Ansa, secondo cui l'uomo avrebbe parlato in aula per oltre venti minuti, mostrandosi più volte commosso mentre, davanti ai giudici, chiariva alcuni punti rispetto alla ricostruzione dei fatti emersa dalle testimonianze della cognata Anna Maria e delle amiche della moglie.
Amato è finito a processo per duplice omicidio, peculato e detenzione illecita delle sostanze che, secondo l'accusa, avrebbe usato per uccidere la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo nell'ottobre del 2021, una serie di farmaci che avrebbe sottratto all'ospedale per cui all'epoca lavorava.
Fin dal suo arresto, risalente allo scorso aprile, si dichiara però innocente, sostenendo di essere totalmente estraneo ai fatti. È tornato a ribadirlo anche nel corso dell'odierna udienza, prendendo la parola dopo Anna Maria Linsalata, sorella e figlia delle due vittime.
ha dichiarato.
ha aggiunto. A riportarlo è l'Ansa, secondo cui l'uomo avrebbe parlato per oltre venti minuti, mostrandosi più volte commosso.
La versione dei fatti dell'ex medico non combacia con quella delle persone che i giudici hanno ascoltato finora. Si pensi, tra le altre, alla testimonianza di Monica Gaudioso, che della moglie Isabella non era solo amica ma anche medico: rispondendo alle domande del Pm, nel corso dell'ultima udienza la donna aveva raccontato di come la vittima si fosse accorta che il marito la avvelenava, rifiutandosi di denunciarlo per motivi religiosi e familiari.
Sembra che avesse accusato dei fastidi - perlopiù stanchezza e sonnolenza - e che si fosse quindi sottoposta a una serie di esami, scoprendo, nel suo sangue, la presenza di un'elevata concentrazione di benzodiazepine: stando a quanto ricostruito dall'accusa, sarebbe stato Amato a somministrargliele, come aveva fatto anche con la suocera qualche settimana prima. L'obiettivo? Entrare in possesso della loro eredità e poter vivere in maniera più libera la relazione con la donna di trent'anni più giovane che da un po' frequentava, che a sua volta sarà ascoltata in aula.
Ad incastrarlo, oltre alle tracce di Midazolam rinvenute sul fondo di una bottiglia di vino che aveva offerto alla moglie - conservata a futura memoria dalla sorella Anna Maria - sarebbero anche i dati rilevati dal suo smartwatch, che lo collocherebbero nei pressi dell'appartamento di Tateo la sera della sua morte (quando invece l'imputato aveva dichiarato di essere rimasto a casa).
Oltre ad Anna Maria Linsalata - che ha fatto sapere di voler arrivare alla verità ad ogni costo - e all'imputato, è stata ascoltata in aula anche un'altra amica della vittima più giovane, Maria Grazia Poggi. Come Gaudioso anche lei ha messo in luce il fatto che "dopo le analisi" Linsalata sospettasse "che potesse essere stato solo lui", il marito, "a somministrarle i farmaci", ma che non volesse "denunciarlo, cacciarlo o cambiare serratura" per non "rovinarlo, né farlo sapere ai figli".
Secondo la donna, Linsalata sperava ancora che Amato tornasse a stare con loro. Voleva ricomporre la sua famiglia, insomma, "ma non aveva risposte concrete da Giampaolo, non si capiva se lui volesse rimanere con lei o andarsene", ha detto. A riportarlo è il quotidiano Incronaca di Bologna.