In Italia per far fronte alla carenza di personale sanitario, chiamare medici e infermieri stranieri sembra essere l'ultima risorsa disponibile. La speranza è quella di trovare una soluzione alla situazione, giunta ad uno stadio emergenziale. Una strategia che si pensa di adottare in diverse regioni del bel Paese, tra cui la Lombardia, come annunciato nei giorni scorsi da Guido Bertolaso. L'assessore al Welfare della Lombardia vorrebbe portare in Italia tremila infermieri e cinquecento medici direttamente dal Sudamerica.
Questa soluzione non trova i consensi fra tutti gli addetti ai lavori del settore sanità, tra chi insiste sulla necessità di dare più spazio a medici e infermieri nostrani, chi ha timore dello scoglio delle difficoltà della lingua parlata o delle diverse competenze che potrebbero sussistere. Altri ancora, ravvisano in questi atteggiamenti delle perplessità legate a pregiudizi.
Campane diverse ma la voce che grida allo stop di soluzioni "tappabuchi" è univoca: il personale sanitario in Italia è ridotto ai minimi termini; bisogna trovare una soluzione per impedirne l'esodo all'estero. Modifiche all'intero sistema organizzativo della sanità sono urgenti oltre che necessarie.
Il Professor Foad Aodi, presidente dell'AMSI (Associazione Medici Di Origine Straniera In Italia) e dell'UMEM (Unione Medica Euromediterranea), ha approfondito la questione insieme a Tag24.
D: Qual è il suo punto di vista sulla situazione in cui si trova l'Italia? E' d'accordo con la soluzione proposta da Guido Bertolaso? Si tratta di una strategia momentanea, "tappabuchi", oppure potrebbe funzionare?
R: Per quanto riguarda la situazione della carenza dei medici, infermieri, fisiatri e farmacisti – queste sono attualmente le quattro figure che vengono richieste maggiormente – possiamo dire che ormai è una patologia cronica. Noi dell’AMSI (Associazione Medici Di Origine Straniera In Italia) abbiamo cominciato a denunciare 15 anni fa questa situazione, invitando tutti, politici, associazioni, sindacati, a cominciare insieme una programmazione, affinché non si arrivasse ad una situazione così grave.
Avevamo un quadro anche di ciò che accadeva a livello internazionale: avevamo capito che questa carenza sussisteva non solo in Italia. Siamo davanti ad una situazione desertica dal punto di vista sanitario. Un secondo elemento poi è da tenere in considerazione: negli ultimi cinque anni abbiamo ricevuto più di 8.000 richieste di medici, specialisti, infermieri, fisiatri e farmacisti da tutte le regioni, sia pubblico che dal privato. In entrambi i settori le richieste maggiori arrivano per il pronto soccorso, ortopedia, fisiatria, chirurgia generale, emergenza, anestesia, radiologia e ginecologia.
D: In quest'ultimo periodo si parla molto di test di ingresso alle facoltà di medicina...Pro o contro? Parte del problema o soluzione secondo lei?
R: Adesso stiamo affrontando la questione dell'esame di ammissione alla facoltà di Medicina, ma i problemi non si risolvono con l’abolizione dell'ingresso. Noi non abbiamo bisogno di medici generici ma di specialisti, che è diverso. Tutti quelli che entrano all’università si devono specializzare. Bisogna combattere l'abbandono della facoltà che affligge il 20% tra studenti italiani e il 15% di quelli stranieri. Per quello non servono soluzioni tamponi.
Il Professor Aodi ha spiegato nel dettaglio qual è la situazione attuale in alcune delle Regioni italiane. La carenza di personale sanitario viene arginata anche grazie all'applicazione del "decreto Cura Italia", la cui applicabilità è stata estesa fino al 2025.
"Le Regioni hanno cominciato a manifestare interesse, tra cui Lazio, Sicilia, Sardegna e hanno attivato collaborazioni con l'AMSI. L’Associazione Medici di Origini Straniera in Italia, fondata nel 2000, ha già dato disponibilità a tutte le regioni, con conferenze online ed esperti. Dal 2020, con l'inizio della pandemia, è stato istituito il "decreto Cura Italia" (Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18, ndr.) che grazie all’articolo 13, consente ai medici e infermieri di lavorare in Italia, senza passare per la strada ordinaria del riconoscimento del titolo presso il Ministero della Salute. Si procede tramite deroga delle regioni.
Il decreto aveva consentito ai medici ucraini e russi, e poi a tutti quelli venuti all'inizio della pandemia, di venire in Italia a lavorare, per dare una mano. Piano piano questo decreto – con scadenza nel 2022 – è stato rinnovato, fino al 31 dicembre 2025, ma non tutte le regioni l'hanno applicato. Alcune regioni hanno sofferto molto, come la Calabria con i medici cubani, la Sardegna, la Sicilia, Lombardia e altre regioni adesso stanno iniziando ad utilizzare il decreto. Noi volevamo coinvolgere i nostri professionisti della sanità prima di far arrivare qualcuno dall'estero. Vogliamo utilizzare i medici che stanno in Italia".
Il Presidente di UMEM (Unione Medica Euromediterranea) poi continua ad illustrare le conseguenze della cattiva organizzazione del sistema sanitario pubblico:
"Purtroppo la risposta è stata molto negativa per quanto riguarda la decisione di chi sta in Italia. Il motivo qual è? Gli stranieri professionisti della sanità qui non accettano di lasciare un contratto a tempo indeterminato e sicuro per andare verso la struttura pubblica per un anno. Perché noi sappiamo che chi non ha la cittadinanza italiana non può accedere ai concorsi pubblici. Quindi potrebbero entrare per questo famoso periodo di un anno, ma poi non si sa come andrà a finire.
Tante Regioni si stanno rivolgendo ai professionisti della sanità all'estero e anche all'AMSI perché non ci sono risposte alle loro esigenze attualmente. Per tale motivo ora è una scelta obbligatoria. Avevamo avvertito tutti dieci anni fa. Se non cominciamo a programmare, a specializzare tutti e a puntare sulle specializzazioni più richieste e più carenti, è normale che poi arriviamo a rivolgerci all'estero come hanno fatto la Francia, la Germania e altri Paesi europei che hanno iniziato molto prima dell'Italia".
D: Tra le perplessità più frequenti, per quanto riguarda la scelta di far arrivare medici e infermieri dal Sud America, c’è la questione competenze. Hanno le stesse qualifiche dei medici in Italia? La carenza di specializzazioni in settori particolari è un’esigenza a cui si può far fronte con questa decisione?
R: Per quanto riguarda le specializzazioni, qui ne mancano parecchie perché in Italia negli ultimi 15 anni non è stata fatta una programmazione. Tra chi non le sceglie, chi non le vuole fare, chi va nel privato e la fuga di massa all'estero, la situazione è grave. Abbiamo denunciato tutto questo con statistiche, dati reali. In più l’aumento delle aggressioni ai medici, i salari bassi e i turni massacranti, stanno aggravando questa carenza dei professionisti. Bisogna affrontare la realtà e risolvere concretamente i problemi ma purtroppo ci agitiamo molto e si agisce poco. Solo dichiarazioni, slogan, propositi, ma di concreto poco.
Dubitare delle competenze dei medici che arrivano qui dall’estero è una dichiarazione gravissima secondo me. La nostra associazione è una realtà presente in 120 Paesi e affrontiamo tutti i giorni le carenze dei professionisti della sanità. Non penso che tutti siano andati a scegliere professionisti non competenti. La selezione di chi viene qui deve essere fatta con criterio e in modo approfondito, questo è chiaro perché si tratta della salute. Vanno verificati i titoli, va insegnata la lingua italiana, ma non in nove mesi, al massimo in tre, come fanno in tutti gli altri Paesi.
In tre mesi già si comincia a lavorare, applicandosi, non come gli studenti sui libri. La risposta è semplice, bisogna selezionare l’università di provenienza, fare una verifica, ma non sparare nel mucchio in modo generale. Non si risolve così. Adesso tutti parlano di analisi di soluzione ma noi vogliamo vedere la concretezza.
D: Per non cadere nella trappola tappabuchi quindi qual è secondo lei la soluzione?
R: Avrebbero dovuto ascoltare l'allarme dell'AMSI. La prima volta che ho chiesto ufficialmente censimento per quanto riguarda la mancanza dei professionisti della sanità e programmare il futuro in base a questa necessità è stata nel 2003. Purtroppo non ci si è reso conto della situazione che è molto grave. Si è continuato a girare intorno al problema, ma non è stato mai affrontato con una vera soluzione. Bisogna prima coinvolgere i professionisti della sanità che stanno qui in Italia, combattere la fuga all'estero.
Occorre programmare le specializzazioni, combattere la fuga dal pubblico e l'esodo all’estero e capire quali sono i motivi, far specializzare tutti quelli che si laureano in medicina, intensificare la collaborazione tra tutti gli albi professionali, non andare uno contro l'altro.
Con queste dichiarazioni discordanti, purtroppo, rispetto al 2020, siamo andati incontro all’aumentato del 35% della discriminazione nei confronti dei professionisti della sanità, perché quando si dice che non sono competenti, non sanno la lingua italiana o altro, nell'opinione pubblica poi nascono alcuni pregiudizi.