Il caso Toti, nel giorno in cui il Governatore della Liguria ha scelto di rimanere in silenzio davanti al Gip, si arricchisce di un nuovo capitolo. A scriverlo è Elisa Serafini, una ex assessore del Comune di Genova che, nel 2018, si dimise nel momento in cui decise di denunciare il sistema di potere che, secondo lei, aveva il suo apice proprio nel presidente della giunta ligure. Un sistema che stava allungando i tentacoli anche su di lei. Ma tant'è: Serafini è stata la prima a rivelare che anche l'amministrazione del sindaco Marco Bucci era succube della Regione a guida Toti. Tanto da essere stata invitata, secondo le denunce che mise a verbale in Procura, anche a firmare atti illeciti. Serafini, ora, è lontana dalla politica italiana, in esilio volontario a Bangkok, in Thailandia. Ma denunciò tutto anche in un libro: "Fuori dal comune". E ora, raggiunta da Tag24, ha l'occasione di riavvolgere indietro il nastro della sua vicenda.
Elisa Serafini, classe 1988, giornalista, imprenditrice, attivista. Nel 2018, appena trentenne, anche assessore al Comune di Genova alla cultura e al marketing territoriale.
D: Ma non durò molto la sua esperienza amministrativa con il sindaco Marco Bucci, giusto?
R: Solo un anno.
D: Ben presto diede le dimissioni.
R: Io ho un carattere tranquillo. Ma andai via letteralmente sbattendo la porta.
D: Come andò?
R: Eravamo in giunta. E mi venne imposto di firmare un atto con il quale avrei erogato fondi pubblici ad una persona, non qualificata ma che aveva sostenuto la Lista Bucci, facendolo risultare un consulente del Comune.
D: Si rifiutò.
R: Bucci, in realtà, era stato pressato, a sua volta, a procedere su indicazione della Regione già all’epoca governata da Giovanni Toti.
D: Uscì dalla sala giunta sbattendo la porta e andò in Procura a denunciare tutto?
R Prima mi recai al piano di sotto del Municipio per stampare le mie dimissioni. L’esposto in Procura lo feci una volta raccolte tutte le carte e fatto ordine, anche mentale, un anno dopo.
D: Una volta diramata la notizia delle sue dimissioni, le arrivò un messaggio sul cellulare.
R: Era Toti. Scrisse: ‘Per fare il bene bisogna coltivare il male’
D: Una citazione del Giulio Andreotti protagonista de ‘Il divo’ di Paolo Sorrentino. Lei cosa gli aveva scritto?
R: Che mi era stato chiesto di fare delle cose totalmente incompatibili con la mia coscienza. E anche con la legge.
D: Dalle carte della Procura, si evince che Toti le fece presente, con altri messaggi, che quella era politica, altrimenti tutto si sarebbe ridotto a sterile testimonianza. E che i politici non sono nè preti, nè volontari.
R: Era il suo modo di intendere il sistema. Che, oltre che in Procura, ebbi modo di denunciare in un libro che intitolai ‘Fuori dal Comune’.
D: In questo libro si rilevano anche nomi e cognomi che ora sono nell’elenco degli indagati.
R: Parlai già di Aldo Spinelli. E della tv Primocanale dell’editore Maurizio Rossi. .
D: Quante querele ha ricevuto per quel libro?
R: Zero.
D: Ma le accuse, che lei mosse per prima, erano e sono pesanti.
R: Io ho raccontato dei fatti. Qualcuno doveva iniziare a fare luce su un sistema basato su una amministrazione poco trasparente, contaminata da conflitti d’interesse e da scelte che venivano influenzate da chi finanziava le campagne elettorali.
D: Questo è un punto aperto: la democrazia ha un costo. Bisogna tornare al vecchio finanziamento pubblico dei partiti?
R: Il problema sono principalmente le governance, e i rapporti tra pubblico e privato. Per quanto riguarda i finanziamenti, in realtà, è possibile raccogliere denaro in modo trasparente. Io, col mio gruppo di lavoro, dal 2022, ad esempio, ho lanciato una piattaforma digitale che permette ai politici, a tutti i livelli, di raccogliere i finanziamenti per le loro campagne elettorali secondo la legge. Per chi fosse interessato, si chiama Politically.
D: Quanti politici l’hanno utilizzata finora?
R: Un centinaio. Dal Governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini alla sindaca di Piacenza Katia Tarasconi, fino all’onorevole Giulia Pastorella, ad esempio.
D: E’ una questione di buona volontà.
R: E’ una questione di governance. Oltre che di regole: chi, ad esempio, è chiamato da politico a prendere delle decisioni per il bene pubblico, poi non può andare a lavorare per un’azienda con cui ha avuto a che fare come decisore pubblico. I media, poi: oltre a dichiarare se usufruiscono del finanziamento pubblico per l’editoria, dovrebbero elencare anche tutti i servizi che rendono a latere agli enti pubblici con i quali, evidentemente, intrattengono rapporti economici.
D: Ora il centrosinistra è compatto a chiedere le dimissioni di Toti. È d’accordo?
R: Sì. Io rimango garantista. Ma è nell’interesse della regione,, adesso, avere un Governatore non in stato di arresto. Del resto, come fa a lavorare? Deve pensare a difendersi, come è giusto che sia in uno stato di diritto.
D: Il ministro Guido Crosetto ha puntato il dito contro i magistrati.
R: Mi pare pretestuoso dire che quella della magistratura è stata un’azione ad orologeria: in Italia ci si sono elezioni tutti gli anni. O si allineano tutte ogni due anni come negli Usa, o bisogna accettare anche questi accavallamenti.
D: Gli arresti, però, guarda caso, a un mese esatto dalle Europee per una inchiesta definita vecchia...
R: Beh, tanto vecchia non è. E poi gli arresti sono scattati adesso perchè i magistrati hanno ritenuto che ci fosse il pericolo di reiterazione dei reati contestati.
D: La notizia dell’arresto di Toti l’ha colta a Bangkok.
R: Mi sono trasferita qui un anno e mezzo fa: in Asia mi sento a casa.
D: Allora, Genova per loro.
R: Ci tornerò anch’io. Ma per ora no: qui sto lavorando come giornalista e studiando le politiche pubbliche nel campo della digitalizzazione dell’amministrazione pubblica. E poi sto studiando il thailandese....
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