Si può licenziare un lavoratore perché è pigro? Il rapporto di lavoro si regge sul rispetto dei diritti e degli obblighi da esso connessi. La violazione di tali obblighi potrebbe portare conseguenze importanti al lavoratore dipendente.
Per analizzare e rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio, in una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito che le aziende hanno la possibilità legittima di licenziare i lavoratori che non dimostrano un impegno e una produttività minima.
Tuttavia, spesso, si tratta di limiti e parametri difficili da individuare, anche perché non sempre, almeno, il lavoratore è l’unico responsabile del risultato.
Quali sono le linee guida?
La Cassazione ha precisato che il discostamento da parametri idonei ad acclarare che la prestazione resa dal lavoratore sia diligente e professionale potrà rappresentare segno di scarso rendimento. Solo in questo caso, si può giustificare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il licenziamento per scarso rendimento è legittimo quando il lavoratore dipendente non adempie agli obblighi contrattuali di impegno e diligenza. Assumendo un tale comportamento, il lavoratore dà luogo a performance che si collocano al di sotto rispetto alla media degli altri lavoratori.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10640 del 19 aprile 2024, affronta gli elementi del licenziamento per scarso rendimento.
Le aziende possono licenziare un proprio lavoratore dipendente per pigrizia. Il nome tecnico di questa procedura è proprio quella di licenziamento per scarso rendimento. Si tratta di una pratica tutto sommato insolita anche per via della sua complessità di applicazione.
Molto difficilmente è possibile individuare i precisi parametri di produttività di un singolo lavoratore e, quindi, diventa complesso dimostrarne la pigrizia.
Nel caso trattato dall'ordinanza, il lavoratore dipendente si era assentato dal posto di lavoro per lunghi periodi, chiedendo un’esenzione per malattia.
Inoltre, quando presente al lavoro dava una produttività molto bassa. Secondo i suoi datori di lavoro, la prestazione lavorativa del dipendente in questione era insufficiente.
Di conseguenza, i suoi datori di lavoro hanno deciso di licenziarlo proprio per scarso rendimento contro cui è stato fatto ricorso fino al terzo grado di giudizio.
In base a quanto stabilito dalla Cassazione, non esistono parametri esatti per accertare che le prestazioni lavorative siano eseguite con diligenza e professionalità.
Ne consegue che il mancato raggiungimento di un risultato non costituisce giusta causa per un licenziamento. Per poter licenziare il lavoratore, quindi, deve essere colpa di quest’ultimo.
La Corte di Cassazione, per far comprendere al meglio questo concetto, spiega che l’elemento soggettivo distingue il recesso per scarso rendimento, da tutte le altre tipologie di recesso unilaterale datoriale, che si basano su circostanze riguardanti la persona del lavoratore.
È necessario, inoltre, che venga effettuata una valutazione complessiva delle attività svolte dal lavoratore, unita all'analisi dei dati forniti in merito alle sue presunte inadempienze. Il datore di lavoro non può stabilire una soglia minima di produzione arbitraria, ma deve basarsi sulla media delle attività svolte dai vari dipendenti.
Ci sono anche altri passaggi nella procedura che porta al licenziamento come l'invio di un preavviso al dipendente, la contestazione scritta delle condotte incriminate e la possibilità per il lavoratore di difendersi entro un certo termine.
Ritornando alla questione, il mancato raggiungimento di un risultato prefissato, peraltro, non costituisce di per sé un inadempimento.
In ogni caso, è e rimane un tema molto delicato e non sempre inquadrabile con facilità, proprio per via di quanto abbiamo spiegato fino ad ora.