La riforma della giustizia del governo Meloni è ormai alle battute finali. "Credo che andrà in Consiglio dei ministri prima delle elezioni europee (in programma dal 6 al 9 di giugno, ndr)", ha rivelato ieri ai cronisti il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla Camera. Ma sono in molti, già, a criticarla: non solo i magistrati, che si augurano che dopo la firma del capo dello Stato il Parlamento ne ripensi almeno delle parti, ma anche i collaboratori di giustizia, i "pentiti" di mafia come Luigi Bonaventura.
Ospite della tramissione "Crimini e criminologia" su Cusano Italia Tv, la scorsa domenica l'ex boss della 'ndrangheta Luigi Bonaventura, diventato collaboratore di giustizia nel lontano 2006, ha lanciato una vera e propria invettiva contro le norme introdotte nell'ordinamento italiano dal governo Meloni.
"Tutte queste leggi che stanno arrivando con la nuova riforma della giustizia stanno distruggendo la normativa antimafia voluta fortemente da Giovanni Falcone", ha dichiarato nel corso dell'intervista rilasciata a Fabio Camillacci e Gabriele Raho, spiegando che "per i collaboratori di giustizia non si vede la luce in fondo al tunnel".
"Come 'Associazione Sostenitori dei Collaboratori e Testimoni di Giustizia' (un'organizzazione no profit nata con l'obiettivo di favorire l'ingresso di nuove figure di questo tipo nei programmi di giustizia, ndr) abbiamo già presentato un documento in otto punti e ne abbiamo un altro da sottoporre alle istituzioni competenti. Troppe cose non vanno bene", ha aggiunto.
Innanzitutto, la nuova normativa sulle intercettazioni. "Sono state fatte a pezzi e rischiano di distruggere anche il sistema dei collaboratori di giustizia - secondo Bonaventura -. Rischiamo di arrivare a un punto in cui in Italia non si potrà più parlare di lotta alle mafie".
"Serve un sistema, una legge che sia garantista anche per il cittadino, perché quando il collaboratore di giustizia fallisce, fallisce tutto il sistema". Ciò a cui puntano - di comune accordo con le associazioni antimafia francesci e tedesche - è arrivare a "una normativa antimafia europea" - "perché la mafia non è solo un problema italiano" - che sia più attenta ai diritti di coloro che, mettendo a rischio la propria vita e la vita dei propri familiari, decidono di aiutare lo Stato.
"Come insegnano le vicende di Leonardo Vitale e di Tommaso Buscetta i collaboratori di giustizia sono diventati una categoria non protetta" ha dichiarato ancora Bonaventura. "Con la nostra Associazione assistiamo i 4.000 familiari di circa mille collaboratori. La nostra è una vera e propria rivoluzione per i diritti fondamentali, tipo la possibilità per i nostri figli di studiare e di avere accesso al Sistema Sanitario Nazionale per le cure di cui hanno bisogno".
"Diritti esistenti già quando sottoscriviamo il contratto con lo Stato; poi però lo Stato non rispetta i patti. Così noi portiamo il doppio marchio: siamo infami per le mafie e semplici mafiosi pentiti per una società civile che civile non è. Siamo discriminati", ha concluso, spiegando di non riuscire a trovare lavoro proprio a causa dei pregiudizi che in Italia tutti nutrono nei suoi confronti per i suoi precedenti.
In pratica, secondo Bonaventura, la riforma non si starebbe concentrando sui punti focali del discorso della lotta alle mafie, lasciando solo chi come lui ha aiutato per anni gli inquirenti a disvelare meccanismi e comportamenti tipici della criminalità organizzata, permettendo di combatterla.