Riparte, con più di un punto interrogativo, il cantiere della riforma delle pensioni, soprattutto per quanto riguarda il vecchio progetto di introdurre quota 41 per i lavoratori precoci. Le elezioni europee 2024 hanno messo qualche punto fermo sulle forze della maggioranza. L'"austerità" di Giorgia Meloni, lasciata trasparire già in due Manovre approvate da quando è al governo, potrebbe essere perfino più incisiva in vista della legge di Bilancio 2025.
Soprattutto a danno della quota 41, cavallo di battaglia e obiettivo divenuto di "fine legislatura" della Lega e di Matteo Salvini che non hanno ricevuto, di certo, i risultati che si attendevano da questa tornata di votazioni. Il dopo quota 103, sul quale si dovrà concentrare l'agenda di governo nella tabella di avvicinamento al prossimo autunno, dovrà produrre una qualche misura ponte per le pensioni anticipate dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare e che non vedono l'ora di lasciare il lavoro.
Se la quota 41 è la battaglia di Salvini, l'aumento degli assegni (minimi) è, invece, la soluzione che Antonio Tajani intravede sul fronte previdenziale. Non sarà facile, ma è sempre in cantiere l'idea di portare le pensioni minime a 1.000 euro.
La riforma delle pensioni per l'anno 2025 si appresta a riprendere la scena dopo un lungo periodo in cui è sostanzialmente scomparsa dall'agenda di governo. Le questioni sul tavolo dell'esecutivo sono più di una e alcune verranno affrontate dalla proposta di legge che il Cnel si appresta a varare entro il mese di luglio. Risorse permettendo, l'intenzione è quella di arrivare a una riforma strutturale della previdenza, da adottare con una legge organica sulle pensioni e sui meccanismi di uscita anticipata.
È molto improbabile che una riforma di questo tipo si possa concretizzare per il prossimo anno. Le proiezioni sulle novità che potrebbero arrivare nel prossimo autunno porterebbero a escludere che il governo possa introdurre la quota 41, cioè la misura di pensionamento anticipato con 41 anni di contributi a prescindere dall'età e da tutti gli altri vincoli imposti nella misura attualmente in vigore.
È improbabile anche che si riesca ad arrivare a una quota 41 "light", penalizzata dall'obbligo di aderire al sistema contributivo puro per i prossimi alla pensione. I lavoratori che attendono il canale della quota 41 provengono tutti dal sistema contributivo misto, cioè - per avere 39, 40, 41 o anche più anni di contributi - hanno iniziato a lavorare, necessariamente, prima del 1996. Riuscire a convincerli di rinunciare a una parte di pensione per uscire prima diventerebbe estremamente penalizzante.
Come per altre misure, c'è da attendersi che il governo possa lavorare su una quota 41 in versione penalizzata, con ricalcolo contributivo dell'importo della futura pensione, di certo meno conveniente del sistema misto. Al ricalcolo si sono adeguate prima l'opzione donna e poi l'Ape sociale, oltre alla stessa quota 103 che consente di andare in pensione con 41 anni ma dai 62 anni di età. Per i pensionamenti dal 1° gennaio 2024 è previsto il ricalcolo con il sistema contributivo, meccanismo che ha ridotto l'assegno di pensione rispetto agli importi degli stessi pensionati del 2023.
Una quota 41 con ricalcolo contributivo puro costerebbe al governo tra il miliardo e il miliardo e mezzo di euro. Soldi che dovrebbero essere messi in Manovra 2025 e prontamente anticipati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) di ottobre prossimo.
Risulta improbabile, tuttavia, che si arrivi alla quota 41 agganciata al ricalcolo contributivo già dal 2025. E, l'esito non proprio brillante delle Lega alle elezioni europee dello scorso weekend, non potrebbe che penalizzare la misura all'interno dell'ordine delle preferenze dello stesso governo.