Novità in arrivo sulle pensioni di vecchiaia con le modifiche previste dalla legge di Bilancio 2025. In queste ultime settimane, il Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel), presieduto da Renato Brunetta, è impegnato nel redigere una proposta di riforma delle pensioni da presentare, entro la fine di luglio, sul tavolo del governo.
La proposta conterrà una legge organica di revisione dell'intero impianto del sistema previdenziale. Il dossier tiene conto dell'alta percentuale di spesa previdenziale che si è registrata in questi ultimi anni e che si prevede anche nei prossimi anni, soprattutto per l'adeguamento degli assegni di pensione all'inflazione, ma anche per i meccanismi delle quote.
Proprio il progetto delle quote - quella attualmente in vigore, la 103, e quella che la Lega di Matteo Salvini vorrebbe introdurre, la quota 41 - verrebbe messo da parte a vantaggio di un nuovo sistema previdenziale, basato sulla possibilità di uscire dal lavoro tra i 64 anni e i 72 anni di età con i soli canali della pensione di vecchiaia e dell'anticipata.
Novità in arrivo sulle pensioni, soprattutto sull'età di uscita e sui requisiti dei contributi versati, si registrano sulla vecchiaia. Il Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel) di Renato Brunetta - in vista della proposta di legge da presentare al governo entro il mese prossimo per la discussione in sede di Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) e di Manovra 2025 - starebbe preparando un dossier che prevede un ripensamento delle pensioni su un arco temporale di uscita dai 64 anni ai 72 anni.
La pressione delle nuove misure in arrivo contemplerebbero la permanenza sul lavoro più a lungo. Infatti, l'età di uscita rimarrebbe - per i prossimi anni, in attesa degli incrementi della speranza di vita - a 67 anni, ma il governo rettificherebbe il requisito dei contributi e quello della maturazione di un importo minimo di pensione per uscire dal lavoro.
I contribuenti dovrebbero arrivare a un monte contributi di 25 anni e non più di 20 anni. Nel caso in cui non si dovesse raggiungere questa soglia, l'età di 67 anni si sposterebbe in avanti in vista del raggiungimento della contribuzione richiesta.
Allo stesso modo, il requisito dell'importo minimo della pensione maturata porterebbe a una soglia di 1,5 volte la pensione sociale. Nel caso in cui, con i contributi versati, non si raggiungesse questa soglia, il contribuente sarebbe costretto a continuare a lavorare (dopo i 67 anni di età) fino al minimo richiesto.
Il riordino delle età di pensionamento da 64 anni a 72 anni include la possibilità di andare in pensione in anticipo con il sistema contributivo puro. A tal proposito, ad oggi i lavoratori post 31 dicembre 1995 hanno la possibilità di uscire in anticipo, a 64 anni, unitamente a 20 anni di contributi, purché l'assegno di pensione che hanno maturato è pari al triplo (fino al 31 dicembre 2023, a 2,8 volte), quello della pensione sociale. Su questi parametri una riforma delle pensioni potrebbe prevedere modifiche che restringerebbero il numero dei lavoratori in uscita a seconda delle risorse disponibili nella nuova legge di Bilancio.
Ulteriore considerazione sulle nuove pensioni di vecchiaia in arrivo è la riforma dei coefficienti di trasformazione, ovvero di quegli indici - fissati per ciascuna età pensionamento - che trasformano il montante dei contributi in pensione. Tali indici, ad oggi rivisti ogni due anni per 16 età di pensionamento (da 57 a 72 anni), verrebbero riformati e calibrati su nove età di pensionamento (da 64 a 72 anni).
Rimarrebbe il vecchio criterio, quello dell'indice più alto corrispondente a un'età di uscita maggiore. Un simile meccanismo non prevederebbe, dunque, il ricorso a meccanismi alternativi di uscita anticipata quale quello delle quote.