Nella giornata di ieri, 2 luglio 2024, è finito in carcere, dopo essere stato prelevato dai carabinieri nella sua abitazione di Latina, con l'accusa di omicidio doloso con dolo eventuale: ecco chi è Antonello Lovato, il datore di lavoro del bracciante indiano Satnam Singh, morto dissanguato dopo un incidente sui campi perché abbandonato in strada invece di essere soccorso e portato in ospedale.
Antonello Lovato gestisce l'azienda Agrilovato di proprietà del padre Renzo, con sede a Borgo Santa Maria, in provincia di Latina. Secondo le ricostruzioni, sarebbe stato lui a dare lavoro al bracciante indiano che alla fine di giugno è morto in una stanza del San Camillo di Roma dopo aver perso il braccio sinistro in un grave incidente avvenuto sui campi.
Era indagato per omicidio colposo; ieri, 2 luglio, i carabinieri gli hanno notificato, alla fine, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio volontario con dolo eventuale. Il motivo? Dall'autopsia eseguita sul corpo di Satnam Singh è emerso che il 31enne è morto per dissanguamento: se fosse stato soccorso per tempo e portato in ospedale si sarebbe salvato.
Lovato, non intervenendo in suo aiuto, limitandosi a portarlo a casa insieme alla moglie, avrebbe accettato l'eventualità che potesse morire (da qui il riconoscimento del "dolo eventuale"). Stando alle testimonianze, il giorno dell'incidente, il 17 giugno scorso, Singh stava preparando le serre per la coltivazione dei meloni quando, all'improvviso, sarebbe rimasto incastrato nel macchinario utilizzato per avvolgere la plastica, riportando gravi fratture alle gambe e la mutilazione di un braccio.
Il suo datore di lavoro lo avrebbe caricato sul furgone della ditta e lo avrebbe abbandonato davanti al cancello della sua abitazione, lasciando il suo braccio in una cassetta della frutta al suo fianco. A dare l'allarme sarebbero stati i suoi familiari: a quel punto però l'uomo aveva già perso molto sangue. E i tentativi dei medici di salvarlo sarebbero stati inutili.
Ascoltato immediatamente dopo i fatti, Lovato, che è difeso dagli avvocati Stefano Perotti e Valerio Righi, aveva raccontato una versione diversa rispetto a quella della moglie della vittima, sostenendo che fosse stata la donna a chiedergli di portarli a casa anziché in ospedale.
Il padre Renzo, intercettato dai microfoni del Tg1, aveva detto: "Avevo avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo, ma ha fatto di testa sua. Una leggerezza, purtroppo, costata cara a tutti". Diversa la ricostruzione del gip che ha disposto il carcere per il figlio, secondo cui quest'ultimo avrebbe messo in atto una "condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà".
Dopo aver abbandonato il 31enne, si sarebbe preoccupato, infatti, di ripulire il furgone dal sangue, intimando il silenzio ai presenti. Sempre secondo il gip, è probabile che "volesse occultare quanto accaduto per evitare che venissero alla luce le condizioni di irregolarità e sfruttamento nelle quali versava il lavoratore, nonché la gravissima situazione di irregolarità dell'azienda sotto il profilo della sicurezza e della salute sul lavoro".
Da cinque anni il padre sarebbe non a caso indagato insieme ad altri due responsabili dell'azienda per caporalato. È accusato di aver approfittato dello "stato di bisogno" di almeno sei persone a cui aveva dato lavoro, non retribuendole in maniera adeguata e perdipiù violando la normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro. Lo riporta l'Ansa citando un documento pubblicato in esclusiva dal TgLa7.