Il 9 agosto di quattro anni fa Gianmarco Pozzi, di 28 anni, fu trovato senza vita nell’intercapedine situata tra il muro di un campo incolto e quello di una villetta di via dello Staglio, a Ponza, dove lavorava come addetto alla sicurezza per una famosa discoteca. Si pensò subito che fosse morto in seguito a una caduta accidentale (i coinquilini dissero che era su di giri dopo aver consumato della cocaina); le prime indagini, quindi, furono fatte sbrigativamente: non ci si preoccupò neanche di disporre una vera e propria autopsia.
L’ipotesi dei familiari e dei loro legali è che in realtà il ragazzo sia stato preso di mira e ucciso - venendo trasportato in un secondo momento sul luogo del ritrovamento - per essersi immischiato in qualche affare losco. Ciò che si augurano è che il muro di omertà che fin dall’inizio avvolge il suo caso possa finalmente cadere, che una svolta possa arrivare, in particolare, dai messaggi anonimi ricevuti dalla sorella di Gimmy oppure dalla carriola che il papà ha rinvenuto un anno fa a poca distanza da dove il ragazzo morì. Se ne è parlato a Crimini e criminologia su Cusano Italia Tv la scorsa domenica.
Intervistati dai giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho, Martina e Paolo Pozzi e l’avvocato Marco Malara, che insieme al collega Fabrizio Gallo li assiste nel loro cammino verso la verità, sono tornati sugli ultimi sviluppi del giallo di Ponza.
La sorella di Gianmarco si è concentrata, in particolare, su dei messaggi anonimi che ha ricevuto su Instagram. Non so chi sia questa persona, ma di sicuro sa tante cose - ha detto -. Mi ha contattata con un profilo falso ormai quattro o cinque mesi fa dandomi informazioni dettagliate su quanto successo a mio fratello: ha fatto nomi di persone che sappiamo esistere veramente, ha parlato del contesto in cui Gianmarco viveva nel momento in cui è morto, di coloro che erano vicini a lui.
E ha poi aggiunto: Mi ha detto: ‘Non credere a quello che dicono, non è vero che tuo fratello era impazzito’. Mi ha suggerito di cercare una ragazza, la compagna di una delle persone che mio fratello avrebbe incontrato quella sera, dicendomi: ‘Lei sa la verità’. Ho avuto la sensazione che finalmente qualcosa si stesse muovendo e ho denunciato tutto alla sezione omicidi della questura di via Genova, a Roma. Ora sta a loro capire. Noi siamo già andati oltre quello che era il nostro compito.
A quattro anni dai fatti, nonostante i loro sforzi, non hanno ancora avuto risposte. Dopo la morte di mio figlio non si è fatto niente. Basti pensare che è toccato a me cercare e trovare la famosa carriola che potrebbe essere stata usata per trasportare il suo corpo nel luogo in cui è stato ritrovato: era in un campo che dista circa 100 metri, recintato, bastava fare un’ispezione. Possibile che nessuno c’è mai andato?, le ha fatto eco il papà.
Ogni anno torno a Ponza per respirare l’aria che respirava Gianmarco. Per fortuna da tante persone ricevo solidarietà. Le ringrazio col cuore, perché anche solo una parola in casi come questi è importante, ci ha tenuto a dire il signor Paolo in chiusura. La sua speranza è che prima o poi il cerchio, finalmente, si chiuda. Che qualcosa porti a una svolta, magari proprio la carriola che ha trovato con le sue mani e che, oltre al Dna di suo figlio, potrebbe nascondere anche quello del suo assassino.