Il Ddl Lavoro riapre nuovamente le discussioni, per un po’ di tempo assopite, sulle dimissioni in bianco. Se una misura era stata presa per contrastare i cosiddetti furbetti della Naspi, rischia di allentare le tutele contro i licenziamenti mascherati da dimissioni volontarie.
Ancora in fase di lavorazione, un emendamento al disegno di legge dovrebbe smontare parte di una legge che introduceva norme stringenti per contrastare il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie del lavoratore.
La nuova normativa interviene prevedendo che, dopo 15 giorni di assenza ingiustificata, il lavoratore venga considerato dimissionario. Una novità che potrebbe comportare il rischio di facilitare i licenziamenti e rendendo anche più semplice il farli passare come dimissioni volontarie.
Siamo di fronte al ritorno delle fatidiche dimissioni in bianco?
Ne abbiamo sentito tanto parlare di un fenomeno davvero molto particolare a cui, nel 2012 e nel 2015, è stato dato un freno, rendendolo illegale.
Le dimissioni in bianco sono l’atto con cui il lavoratore dipendente recede unilateralmente dal contratto di lavoro, ma non consentite dalla legge. Perché non le consente la legge? Questa tipologia di dimissioni consiste nel far firmare al lavoratore un foglio di dimissioni privo di data, il quale può essere completato dal datore di lavoro in un momento successivo.
Si tratta di uno strumento che è stato ampiamente utilizzato per licenziare i lavoratori aggirando tutele e diritti: in sostanza, i datori di lavoro non seguivano la procedura di legge.
Prima la Legge Fornero del 2012 e dopo il Jobs Act del 2015 ha reso illegale la pratica, introducendo al suo posto procedure obbligatorie e telematiche per prevenire qualsivoglia tipo di abuso.
Qualora dovesse arrivare l’approvazione al Ddl Lavoro, le regole di cui sopra potrebbero cambiare. Le dimissioni in bianco potrebbero davvero tornare? Bisogna fare alcune precisazioni. La norma non prevede l’introduzione della pratica delle dimissioni in bianco. L’emendamento, tuttalpiù, introduce novità sulle regole per i licenziamenti.
In particolar modo, il disegno di legge introduce novità che vanno di fatto ad allentare le restrizioni attualmente in vigore sulle regole in materia di licenziamento.
L’articolo 19 del Ddl interviene sull’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015, relativo alla normativa in materia di dimissioni volontarie e risoluzione consensuale del contratto di lavoro.
Qual è l’obiettivo? Si punta a contrastare i cosiddetti furbetti della Naspi, ovvero chi spinge il datore di lavoro al licenziamento così da beneficiare della Naspi, invece che dimettersi.
Il nuovo articolo prevede che se il lavoratore fa assenze ingiustificate per un periodo oltre quanto previsto dal CCNL applicato, viene considerato come dimissionario. In mancanza di tale previsione nel contratto collettivo di riferimento, si considera il periodo superiore a 15 giorni.
Oltre il termine, il datore di lavoro può segnalare il dipendente all’Ispettorato del Lavoro, il quale si riserva la possibilità di verificare la veridicità della comunicazione.
In questo modo, si darebbe per scontata la volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro. Non sorge forse il dubbio che possa essere spinto all’assenza dal datore di lavoro con l’intenzione di licenziarlo? Possiamo fare l’esempio del lavoratore che non riceve lo stipendio da tempo e dopo molte rimostranze decide di non presentarsi al lavoro.
Un caso non esclude l’altro, ovviamente. Ma l’onere della prova viene fatto ricadere solo sul lavoratore. Qualora passasse la norma, proprio il dipendente sarà chiamato a dimostrare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.
Come già detto, ancora non è stata approvata e per sapere se il tutto diventerà definitivo, dobbiamo attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.