"Sono felice qui, non voglio andare via". Sono queste le parole pronunciate da Gene Wilder nell'ultimo giorno sul set di "Frankenstein junior", pellicola di Mel Brooks uscita nei cinema nel 1974. Cinquant'anni dopo, il film resta un capolavoro indiscusso del cinema statunitense e non soltanto della commedia, perché la sua grandezza va ben oltre il genere.
Chiedere a Francis Ford Coppola, che vide il suo "Padrino - Parte 2" sconfitto al box office proprio dalla pellicola di Brooks. Curioso pensare al modo diverso in cui sono ricordati i due film oggi. Da un lato, un'opera straordinaria e l'apice di una trilogia tra le più venerate nella storia del cinema; dall'altro, una commedia eccellente ma pur sempre 'di serie B'.
Una conseguenza, senza dubbio, di quella diffidenza con cui ancora oggi si giudica il genere, che porta a ignorare il meticoloso lavoro che si cela dietro alle risate incontenibili provocate dalla satira di Wilder e Brooks. Un'attenzione straordinaria ai dettagli che riguardava non soltanto il puro effetto comico ma anche la messa in scena, la cura dei dettagli scenografici e la caratterizzazione dei personaggi e come portarli sullo schermo.
Il risultato fu un film praticamente perfetto, che non è invecchiato di un giorno.
Perché anche far ridere è una cosa seria e i due artefici del successo di "Frankenstein junior" lo sapevano benissimo.
In un'epoca come quella attuale, in cui la parodia e la satira puntano sull'esasperazione demenziale della realtà, "Frankenstein junior" è un film pacato, dal ritmo più vicino a quello dei classici degli anni Trenta e Quaranta a cui si ispira, che non a quelli della commedia più spudorata.
Tuttavia, proprio questo uscire dagli schemi della commedia classica fu la causa di non pochi problemi all'inizio della produzione. Per la Columbia Pictures, ad esempio, era impensabile l'idea di girare un film simile in bianco e nero come, invece, volevano Wilder e Brooks per rendere omaggio ai classici horror con Boris Karloff e Bela Lugosi. Di fronte al loro rifiuto, Brooks portò il progetto alla 20th Century Fox, che fu felice di accontentarli. Una libertà di pensiero vicina all'anarchia in un contesto solitamente rigido come quello di Hollywood.
A questo si deve aggiungere la serietà dell'approccio dei due alla cinematografia degli anni Trenta e Quaranta. Wilder e Brooks in "Frankenstein junior" dimostrano una conoscenza enciclopedica dei film, delle scene e dei personaggi che fecero la storia dell'età d'oro di Hollywood, da loro recuperate e dissacrate.
Ecco, dunque, che le scenografie del laboratorio del dottor Frankenstein usate nel film originale di James Whale del 1931, vengono recuperate per costruire il laboratorio di suo nipote Frederick nel film di Brooks che diventa, così, una parodia raffinata e non un semplice susseguirsi di gag.
Scene comiche e battute che, ovviamente, non mancano in "Frankenstein junior" e sono rimaste impresse nell'immaginario collettivo.
Come la gobba dell'assistente Igor (ma si pronuncia 'Aigor') interpretato da Marty Feldman, che si divertiva a spostarla tra una scena e l'altra, confondendo troupe e colleghi. Un'improvvisazione che a Brooks piacque così tanto da decidere di modificare la sceneggiatura per includerla.
Oppure i cavalli imbizzarriti al solo sentire il nome di Frau Blücher (la governante del castello, interpretata da Cloris Leachman). Leggenda vuole che il motivo di questa reazione di terrore fosse dovuto al fatto che la parola 'blücher', in tedesco, significa 'colla' e che i cavalli, una volta invecchiati, venissero uccisi e utilizzati per farne, appunto, della colla. Tuttavia, nel suo libro biografico "Baciami come uno sconosciuto", è lo stesso Gene Wilder a negare questa correlazione, dicendo di aver scelto il nome solamente per "il suono che aveva, mi sembrava potesse davvero spaventare anche i cavalli".
Tutte battute frutto della genialità del duo composto da Wilder e Brooks la cui collaborazione, però, fu quasi una casualità.
Mentre, infatti, Gene Wilder inseguiva da tempo l'idea di questa parodia degli horror della Universal, Brooks salì a bordo solo in seguito. In particolare, fu decisiva la partecipazione dell'attore a "Mezzogiorno e mezzo di fuoco", altra parodia (questa volta del genere western) che Brooks stava girando per la Warner Bros. Wilder arrivò a sostituire Gig Young per il ruolo di Waco Kid, dopo che l'attore aveva dato sul set segnali inequivocabili di un grave problema di alcolismo.
Tra un 'ciak' e l'altro, Wilder continuava a lavorare al suo film su Frankenstein, insistendo con Brooks affinché lo scrivessero insieme. Alla domanda del regista se avesse un anticipo da offrirgli, l'attore rispose di avere con sé 57 dollari. Un'offerta alla quale Brooks rispose semplicemente dicendo: "È un inizio". Una battuta che sembra uscita direttamente da uno dei suoi film.
Risultato: nel 1974 i due film che i due fecero insieme trionfarono al box office, battendo blockbuster come "L'inferno di cristallo" con Steve McQueen e "Il Padrino - Parte 2" di Coppola. Come mostra la classifica di 'The numbers' relativa a quell'annata, "Mezzogiorno e mezzo di fuoco" fu il film più visto e "Frankenstein junior" si piazzò al quarto posto.
Ce n'era abbastanza per dare a Brooks un riconoscimento ufficiale da parte dell'industria di Hollywood. Eppure, gli Oscar lo ignorarono fino all'edizione di quest'anno, in cui il regista è stato insignito di un meritatissimo Premio alla carriera.
Oggi, proprio il regista è uno dei pochi ancora in vita tra gli artefici di quel successo clamoroso. Con la morte di Teri Garr, avvenuta ieri 29 ottobre 2024, che nel film interpretava la procace assistente Inga, degli interpreti principali della pellicola sopravvive solo Gene Hackman. Era proprio lui, oggi 94enne, il protagonista di un cameo esilarante nei panni di un viandante cieco che offre ospitalità al mostro interpretato da Peter Boyle.
Restano, però, le risate immortali che il loro film ancora è in grado di suscitare negli spettatori. un successo di cui Brooks si rese conto già sul set, quando si accorse che la troupe non riusciva a trattenere le risate, rovinando spesso e volentieri le riprese. Inconveniente che lui risolse distribuendo fazzoletti di carta a tutte le persone presenti, dicendo loro di metterseli in bocca per attutire il rumore delle risa.
La prova definitiva che, come diceva Gene Wilder, quello era davvero "un posto felice".