La mattina del 14 dicembre del 2013 uscì dall'abitazione in cui viveva a Bellano, in provincia di Lecco, per andare a lavorare, e non fece più ritorno: Samuele Fraquelli, di professione piastrellista operaio, aveva 42 anni. 11 anni dopo, nonostante non si sappia ancora che fine abbia fatto, i familiari hanno deciso di avviare le pratiche per dichiararne la morte presunta. Ne abbiamo parlato con la moglie, che ha dovuto crescere da sola le loro due figlie.
"La storia è quella che si legge sui giornali", ci dice Michela. Il 14 dicembre del 2013, attorno alle 6.30, Samuele Fraquelli uscì di casa, fece colazione al bar e si diresse - a bordo della sua Citroen Berlingo bianca - verso il cantiere, distante circa 35 chilometri.
Aveva detto alla moglie e alle due figlie che sarebbe rientrato per pranzo: nel pomeriggio, non vedendolo arrivare - e accorgendosi che non aveva portato con sé il cellulare - la donna, preoccupata, allertò quindi le forze dell'ordine.
La sua auto fu ritrovata qualche ora dopo nei pressi di una baita di montagna a Dorio, con gli sportelli aperti e le chiavi inserite. Di lui e dei suoi documenti, però, neanche l'ombra. Fu cercato ovunque, anche con l'aiuto di una sensitiva del posto.
Non solo in natura, ma anche in diversi luoghi di pellegrinaggio: si pensava infatti che, essendo diventato molto religioso dopo aver affrontato un periodo di depressione, avesse potuto raggiungere qualche comunità cattolica.
Le indagini, gli appelli, non servirono a nulla. Ad oggi, infatti, non si sa ancora che fine abbia fatto.
Dalla data del suo ultimo avvistamento sono trascorsi quasi 11 anni. "Anni difficili e pesanti sia per le nostre due figlie che per me", ci spiega la moglie, che ora, assistita dall'avvocata Laura Giglio, ha deciso di avviare le pratiche per la dichiarazione di morte presunta. Iter che durerà almeno sei mesi.
"Non potevamo andare avanti così", prosegue Michela. "Abbiamo avuto tanti problemi di carattere burocratico, soprattutto quando entrambe le mie figlie erano minorenni (una adesso ha raggiunto la maggiore età, ndr): senza la firma del papà non potevano neanche andare dal dentista".
"Figuriamoci portarle a fare un giro in Svizzera, che è qui vicino: sarei stata denunciata per rapimento minorile. Passati 10 anni dalla scomparsa, sono stata obbligata". "Anche la mamma, il papà e gli altri familiari di Samuele", fa sapere, "sono pronti e faranno tutto ciò che c'è da fare. Ciò non toglie che continueremo a cercare la verità".
"Finché non sapremo qualcosa di sicuro, lo aspetteremo, se è vivo (in quel caso, ovviamente, la dichiarazione di morte presunta verrebbe meno, ndr). Le mie figlie perché è il loro papà e io per sistemare, per capire che cosa è successo. Me lo sono chiesta tante volte, senza riuscire a darmi una spiegazione. E anche alle mie figlie non ho mai saputo cosa dire quando, piangendo, mi chiedevo se il padre sarebbe tornato".
"Dicevo loro quello che sapevo e che so anche ora, che è quello che sanno tutti: che è uscito e che la sua macchina è stata ritrovata in montagna. Che fine abbia fatto lui, però, non lo so. Non so se sia andato via o se gli sia successo qualcosa, se abbia avuto un incidente, se tornerà o se non può più farlo. Soffro, soffriamo tutti. E finché saremo in vita continueremo a porci domande".
Di risposte, purtroppo, non ne hanno. "Se mi dicessero che è scappato, che sta bene e che ci saluta, lo accetterei, me ne farei una ragione. In caso contrario, per me e per le mie figlie resterà una pagina aperta". È per questo che - facendo riferimento alle persone che sentono il bisogno di allontanarsi, i cui casi, spesso, salgono alla ribalta delle cronache - sente il bisogno di lanciare un appello: "Ci pensino bene, prima di fare una scelta così drastica. Non sanno cosa lasciano".
Si pensi al caso di Adamo Guerra, che finse il suicidio, abbandonando moglie e figlie in Italia.