Francesco Marchetto è stato il maresciallo dei carabinieri e comandante della stazione di Garlasco all’epoca dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007. Figura centrale nelle primissime fasi dell’indagine, era considerato uno dei migliori ufficiali di polizia giudiziaria della provincia di Pavia. Tuttavia, dopo pochi giorni dall’inizio delle indagini, fu escluso dall’inchiesta a seguito di contrasti interni, in particolare con il capitano Gennaro Cassese, e negli anni successivi è stato coinvolto in vicende giudiziarie.
Quando la mattina del 13 agosto 2007 Chiara Poggi venne trovata morta nella sua abitazione, Marchetto era in ferie con la famiglia, ma fu subito richiamato in servizio. Fu tra i primi a intervenire sulla scena del delitto e, come ricorda lui stesso, si rese immediatamente conto di alcune gravi anomalie nella gestione delle operazioni: “C’erano troppe persone all’interno della villa dei Poggi, molte più di quelle che avrebbero dovuto esserci secondo protocollo. E molti non erano adeguatamente bardati: i calzari li avevano quasi tutti, ma i guanti no”. Secondo Marchetto, questa gestione caotica avrebbe potuto contaminare la scena del crimine e compromettere le indagini.
Marchetto sostenne fin da subito la necessità di indagare “a 360 gradi”, ovvero di non limitarsi a una sola pista investigativa. In particolare, avrebbe voluto approfondire il ruolo delle gemelle Cappa, vicine di casa della vittima, e di altri soggetti che a suo avviso non furono adeguatamente attenzionati. Questo atteggiamento lo portò rapidamente allo scontro con il capitano della compagnia di Vigevano, Gennaro Cassese, che invece riteneva sufficiente l’alibi fornito dalle sorelle Cappa. Il contrasto tra i due portò, dopo pochi giorni, all’esclusione di Marchetto dalle indagini principali.
Il 27 maggio 2025, Marchetto è intervenuto a "Mattino Cinque News", rilasciando dichiarazioni che hanno riacceso i riflettori sulle criticità delle indagini e sulla gestione della scena del crimine. Marchetto ha raccontato che, al suo arrivo nella villa dei Poggi, la casa era già affollata da molte più persone di quanto previsto dai protocolli: “In teoria avrebbero dovuto esserci solo il magistrato, il comandante del reparto e della compagnia, gli addetti ai rilievi e quelli alla fotografia. Ma dentro la villa c’erano molte più persone del necessario”.
Ha inoltre sottolineato come molti degli operatori non indossassero adeguate protezioni, in particolare i guanti, aumentando così il rischio di contaminazione delle prove: “I calzari li avevano quasi tutti, ma non tutti indossavano i guanti. C’era davvero tanto sangue e il rischio contaminazione era alto”.
Ma la parte più delicata dell’intervento riguarda la testimonianza di un uomo che, nei giorni successivi al delitto, aveva dichiarato in Procura di aver visto una ragazza bionda in bicicletta, con in mano un attizzatoio, la mattina dell’omicidio. Secondo Marchetto, questo testimone avrebbe poi ritrattato la sua versione “perché è stato minacciato o intimidito da qualcuno che era all’interno della Procura in quel momento”. Marchetto ha ribadito che il testimone “aveva detto la verità, ma poi ha ritrattato per paura”, suggerendo che dietro questa ritrattazione ci siano state pressioni indebite.
Le dichiarazioni di Marchetto contribuiscono ad alimentare i dubbi sulla correttezza delle prime fasi dell’inchiesta e sulla possibilità che elementi determinanti siano stati trascurati o manipolati. Secondo l’ex maresciallo, la Procura di Pavia oggi avrebbe in mano nuovi elementi e sarebbe intenzionata a “scrivere la parola fine, non una parola qualsiasi” su un caso che, a suo dire, vede “un colpevole, non il colpevole. O i colpevoli. E quando si saprà la verità si capirà anche il male che è stato fatto a me, da chi e il motivo. La vera domanda è il movente. E quando salterà fuori, farà male a due famiglie”.