05 Jun, 2025 - 16:05

Cosa prevede il Jobs Act, la legge che la sinistra vuole abrogare col referendum

Cosa prevede il Jobs Act, la legge che la sinistra vuole abrogare col referendum

La legge che il Partito Democratico volle nel 2015, il Pd vuole abrogare oggi, dieci anni, cinque governi e tre legislature dopo. I dem, sebbene profondamente spaccati, sono schierati sul fronte pro-referendum e pro-sì, quello che porterebbe a una sostanziale cancellazione della legge 81 del 2015.

Ma il pomo della discordia che segna una frattura profondissima tra l'area che sostiene la segretaria Elly Schlein e il gruppo riformista (vedi Paolo Gentiloni e Graziano Delrio) da cosa è costituito?

In altre parole: perché il Jobs Act è di nuovo un discrimine così importante, un confine tra chi sta di qua e chi di là così sorvegliato, un muro che separa in maniera così netta due vedute politiche che oggi più che mai sono in antitesi?

Cosa prevede il Jobs Act, la legge voluta da Renzi che i referendari vogliono cancellare

Tutto iniziò nel 2014, quando l'allora premier Matteo Renzi volle mettere mano alla riforma del mercato del lavoro italiano. Dopo l'intervento di Elsa Fornero, l'intento era quello di mettere un freno alla precarizzazione dei contratti ma di rendere anche meno rigidi i rapporti tra datori e lavoratori.

Ebbene: dieci anni dopo, che risultati ha contribuito a raggiungere questa legge?

Secondo gli ultimi dati Istat, risultati molto positivi. Ad aprile 2025, la disoccupazione è scesa sotto il 6%; l'occupazione si è assestata al 62,7% (ancora lontana dalla media europea ma comunque record italiano); e anche la precarizzazione in realtà si è di molto arginata: tre anni fa erano a tempo o part-time il 17% dei contratti, ora solo il 13%. 

Ma tant'è: se vale la regola che nessuno è profeta a casa sua, per i promotori del referendum, il segretario della Cgil Maurizio Landini e la segretaria del Pd Elly Schlein in primis, non vale nemmeno più "fare l'americano", come volle fare Matteo Renzi all'epoca.

La legge che andava a regolamentare un mercato del lavoro più dinamico si chiama Jobs Act proprio volendo citare il pacchetto normativo che all'epoca promosse negli Stati Uniti il presidente Barack Obama. 

Questa foto Ansa immortala l'abbraccio dei promotori nell'ottobre del 2016.

E comunque: in Italia la si presentò anche con la denominazione di legge sul lavoro a tutele crescenti.

I punti del Jobs Act

Il principio cardine da cui prese le mosse la modernizzazione del mercato del lavoro è che il contratto di lavoro di base (e quello più conveniente per le aziende) doveva essere quello a tempo indeterminato. 

A differenza del passato, però, con la legge 81 si è previsto che le tutele dei lavoratori crescessero con l'andare degli anni e, di conseguenza, con un rapporto col proprio datore ormai consolidato.

Il nodo licenziamenti

In ogni caso, uno dei nodi della legge è che, dopo la Fornero, ha dato il colpo di grazia all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che dal 1970 vietava i licenziamenti senza giusta causa facendo ordinare ai giudici del lavoro il reintegro.

Il Jobs Act, invece, prevede il reintegro solamente in alcuni casi: il più delle volte, apre alle indennità.

A partire dal 7 marzo 2015, infatti, un neoassunto in un'impresa con più di 15 dipendenti, pur in presenza di un licenziamento individuale ingiustificato, non rientra in azienda la maggior parte delle volte.

Il contratto a tutele crescenti ha introdotto due regimi di tutela per il licenziamento individuale: in caso di giutificato motivo oggettivo, come la soppressione della posizione lavorativa per una ristrutturazione aziendale, se è accertato come illegittimo, il lavoratore non rientra in azienda ma ha un'indennità risarcitoria pari a due mensilità per ogni anno di servizio (non inferiore a 6 mesi e non superiore a 36).

Il reintegro sul posto di lavoro è limitato ai licenziamenti discriminatori e a quelli per provvedimento disciplinare o giustificato motivo soggettivo illegittimi per insussistenza del fatto materiale. 

Le vertenze di lavoro individuali

In ogni caso: per capire su quante persone impatterà l'esito del referendum dell'8 e 9 giugno, si stima che, dieci dopo l'entrata in vigore del Jobs Act, siano già 3,5 milioni i lavoratori nel regime post-7 marzo 2015. E che le controversie di lavoro siano in notevole aumento.

Nel 2024, in tutti i tribunali italiani se ne sono contate 314.288, l'11,7% in più. Nel settore privato, le liti giudiziarie sono passate da 7.349 del 2022 a 10.564 del 2024. 

 

 

 

 

 

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