La riforma della giustizia potrebbe essere sottoposta a referendum tra fine anno e inizio 2026. È un rischio concreto, come ha spiegato il Guardasigilli Carlo Nordio, che ha parlato dei prossimi passi del piano di riforma senza escludere la possibilità di un referendum costituzionale. A differenza di quello recente su cittadinanza e lavoro, questa volta non sarà previsto alcun quorum.
Il progetto di riforma della magistratura attraverserà un lungo iter nel corso del 2025, con l’obiettivo di chiudere la legislatura portando a termine un disegno voluto dalla premier Giorgia Meloni e dai suoi alleati, in particolare Forza Italia. Un tentativo simile era stato fatto nel 2022 durante il governo Draghi, con un referendum poco partecipato, e ora la riforma rischia di tornare alle urne stavolta senza quorum.
Si tratta di uno degli obiettivi principali del governo, la cui riuscita potrebbe influire sulla stabilità dell’esecutivo. Un eventuale insuccesso al referendum potrebbe portare Meloni a una situazione simile a quella vissuta dall’ex premier Matteo Renzi nel 2016, costretto alle dimissioni dopo la vittoria del "No" al referendum costituzionale. Palazzo Chigi e il Ministero della Giustizia considerano tutti gli scenari possibili.
Il Guardasigilli Carlo Nordio ha definito il referendum un rischio necessario per portare a termine una delle riforme più ambiziose del governo Meloni. La riforma prevede la separazione delle carriere dei magistrati, una revisione del Consiglio Superiore della Magistratura e il rafforzamento dell’indipendenza dei giudici. Nordio ha sottolineato che il prossimo passaggio sarà il 18 giugno, quando la riforma approderà al Senato. Ha poi anticipato:
Alta è quindi la probabilità che la separazione delle carriere venga decisa con un voto popolare, stavolta senza quorum. Nordio non sembra preoccupato e afferma di “affidarsi al popolo”.
Il referendum costituzionale sulla giustizia è per ora solo un’ipotesi, ma rappresenta una prova cruciale per il governo Meloni, a meno di un anno dalle elezioni previste nel 2027. Per portare a termine la legislatura sarà fondamentale il successo del referendum all’inizio del 2026, perché in gioco c’è sia una delle riforme più importanti promesse nel 2022 sia la tenuta stessa dell’esecutivo.
Non si può non pensare al referendum del 4 dicembre 2016, quando il progetto dell’allora premier Matteo Renzi naufragò, portandolo alle dimissioni. Un rischio che anche Meloni potrebbe dover affrontare e un’opportunità per il centrosinistra.
Il referendum si dovrebbe tenere tra fine 2025 e inizio 2026, come indicato da Nordio, che auspica una campagna elettorale civile e senza tensioni all’interno della maggioranza e dell’opposizione. La riforma è sostenuta da tutto il centrodestra e da una parte del centrosinistra: +Europa ha più volte espresso entusiasmo per la riforma liberale e si sono aperti margini di dialogo con Italia Viva nonostante ci siano state incomprensioni in passato.
Azione, il partito di Carlo Calenda, è incerto ma potrebbe dare supporto. Difficilmente l’area più critica del Pd, più distante da Elly Schlein, appoggerà il progetto di Meloni. Il voto potrebbe svolgersi dopo le elezioni regionali dell’autunno 2025, probabilmente tra dicembre e gennaio.