Sfilare giusto per fare baldoria, tanto per fare casino, tanto per bloccare il traffico di Roma, alzare i livelli di smog, costringere migliaia di persone a stare a casa in attesa che la carnevalata finisca e si possa avere di nuovo a disposizione i mezzi pubblici e le strade percorribili; sfilare, in fondo, senza sapere nemmeno per chi e per cosa: a questo si è ridotto il Pride di Roma se è vero, come è vero, che la madrina della manifestazione, la cantante Rose Villain, a un certo punto, si è messa a sventolare la bandiera della Palestina.
Per carità: liberissima di farlo. Come liberissimi anche gli organizzatori di spegnere la musica per cinque minuti in onore delle vittime civili di Gaza. Ma di sicuro fuori logica rispetto al tema dei diritti della comunità lgbtqia+ che si rivendicavano.
Ad oggi, infatti, i palestinesi sono ostaggio di un gruppo terroristico che li utilizza come scudi umani in tempi di guerra, come purtroppo è questo che viviamo; e li massacra se mostrano un'inclinazione sessuale diversa da quella eterosessuale in tempi di pace.
Quel gruppo terroristico si chiama Hamas. Un'organizzazione di fondamentalisti islamici sunniti che ha governato e governa Gaza con il terrore della sharia, la legge islamica secondo la quale gli omosessuali vengono lapidati.
Viene spontaneo chiedersi, quindi, se tutto questo Rose Villain e i tanti manifestanti (1 milione per gli organizzatori, 30 mila per la questura) che anche ieri erano in piazza più pro-Pal che per le libertà individuali lo sapessero.
E tuttavia: Villain con la bandiera della Palestina non è stato l'unico episodio che fa pensare che, in fondo, il Pride romano sia stato solo l'ennesima occasione persa per la comunità lgbtqia+.
Perché la madrina di un Pride sventola la bandiera della Palestina senza contestare chi spadroneggia in quel territorio senza rispettare i diritti umani? Senza riflettere sul fatto che nella Palestina di Hamas i diritti della comunità lgbtqia+ che tanto rivendica e che tanto dice di avere a cuore non vengono rispettati?
Anche ieri i cori erano "free, free Palestine!". Ma si riferivano alla libertà da Israele, no dal gruppo terroristico che lapida gli omosessuali.
E quindi: il Pride di Roma edizione 2025 è nato male, tra le mille polemiche suscitate dal fatto di aver accettato come sponsor marchi accusati di finanziare Israele; ed è finito peggio, con le bandiere dei pro Pal che, evidentemente, anche Rose Villain ha sventolato semplicemente perché così fan tutti, sull'altare della cultura woke.
Sta di fatto che non solo le bandiere palestinesi sono sembrate fuori tema. La Lega, ad esempio, è insorta contro il carro che mostrava le sagome di Trump, Rowling, Netanyahu e Musk appese a testa in giù:
hanno denunciato i salviniani.
Un cartello in particolare, poi, ha disturbato Italo Bocchino, il direttore del Secolo d'Italia spesso ospite dei talk show per difendere le ragioni del centrodestra e del governo: c'era scritto "Più bocch*ni meno Bocchino". E il diretto interessato non l'ha lasciato cadere nel vuoto
Last but not least, poteva mancare chi gridava al pericolo-fascismo? Anche questa volta gli "antifascisti immaginari", per dirla con Antonio Padellaro, hanno risposto presente. Sebbene, Luxuria, a dire il vero, si sia riferita ad Orban che ha vietato il Pride programmato a Budapest per il prossimo 28 giugno
Il prossimo banco di prova per i politici italiani che si battono per i diritti lgbtqia+ è proprio nella capitale magiara. Lì, infatti, sono preannunciate delegazioni e leader del centrosinistra come Elly Schlein e Carlo Calenda. Per loro sarà un'opportunità di ritrovarsi su un tema condiviso. Ma senza bandiere della Palestina e cori pro-Hamas.