Il caso Garlasco torna a far discutere, questa volta per le dichiarazioni oniriche dell’avvocato Massimo Lovati, difensore di Andrea Sempio, che ha trasformato il dibattito giudiziario in una vera e propria “notte degli incubi” tra Dna, yogurt e sospetti mai sopiti. Ma cosa si cela dietro l’ormai celebre “incubo del Fruttolo”?
Negli ultimi giorni, Massimo Lovati ha rilasciato una serie di dichiarazioni, sia in televisione che sulla stampa, in cui racconta di essere tormentato da un incubo ricorrente: quello di trovare il Dna del suo assistito, Andrea Sempio, su un vasetto di yogurt Fruttolo repertato tra la spazzatura nella villetta di Chiara Poggi il giorno dell’omicidio, il 13 agosto 2007. Secondo Lovati, questo scenario – pur frutto di un sogno – rappresenta una fonte di profonda inquietudine, perché una simile prova potrebbe attestare in modo inequivocabile la presenza di Sempio nell’abitazione della vittima proprio nelle ore del delitto.
Lovati sottolinea che la sua preoccupazione non riguarda le tracce già note – come le unghie della vittima o l’impronta 33 – ma piuttosto gli oggetti che non furono adeguatamente analizzati nel 2007, tra cui proprio lo yogurt e altri rifiuti domestici. “Le altre cose che hanno sbandierato non mi preoccupano. Le unghie, l’impronta, non le temo. Il Fruttolo sì”, ha dichiarato l’avvocato, spiegando che questi reperti potrebbero oggi diventare elementi chiave in un’indagine che definisce “piena di trabocchetti”.
Non è la prima volta che Lovati ricorre a metafore oniriche: già nelle scorse settimane aveva parlato di un sogno in cui un sicario, assoldato per motivi legati alla Madonna delle Bozzole e a oscure vicende di ricatti e pedofilia, avrebbe ucciso Chiara Poggi. Ora, però, l’incubo del Dna sullo yogurt sembra rappresentare una nuova fase della strategia difensiva: Lovati si dice certo dell’innocenza di Sempio, ma teme che la riapertura delle indagini e l’analisi di reperti “dimenticati” possano portare a conclusioni inattese e, a suo giudizio, ingiuste.
L’avvocato non nasconde la sua sfiducia verso il procedimento: parla apertamente di “inquirenti sleali”, di “giustizia del diavolo” e di un’inchiesta che, partendo da un’accusa di concorso per riaprire il caso, non lascerebbe spazi difensivi adeguati. Lovati teme che la ricerca ossessiva di una prova regina – come il Dna di Sempio su un oggetto domestico – possa travolgere anche chi è estraneo ai fatti, in assenza di un vero contraddittorio e con reperti ormai degradati dal tempo.
Il timore di Lovati si concentra proprio sulla possibilità che, a distanza di 18 anni, si possano attribuire con certezza tracce di Dna a una presenza nell’abitazione della vittima nel giorno del delitto, senza considerare che la casa era frequentata da più persone e che la manipolazione dei reperti potrebbe averne compromesso l’integrità. Il legale sottolinea come, nel caso di Yara Gambirasio, si sia proceduto con un’indagine a tappeto su tutto il paese, mentre a Garlasco si sarebbe partiti dalla fine, cercando i complici per sostenere un capo d’imputazione “assurdo”.