Dopo quasi quattro decenni alla guida di Vogue, Anna Wintour, il Diavolo veste Prada, lascia il suo incarico di direttrice e pone definitivamente fine a una delle leadership più longeve e influenti nella storia del giornalismo di moda.
Icona indiscussa, figura temuta e ammirata, la Wintour ha definito lo stile di un’epoca e ha trasformato la rivista in una piattaforma globale di tendenze, cultura e potere.
La sua uscita segna non solo la fine di un ciclo professionale, ma anche l’inizio di una nuova fase per un intero settore.
L'addio di Anna Wintour a Vogue America non è solo il pensionamento di una direttrice. È la fine di un'era.
Nessun stilista, nessuna top model potrebbe mai lasciare un vuoto così profondo. Questo perché la Wintour non ha semplicemente diretto una rivista: ha trasformato la moda da settore di nicchia a colosso culturale, proiettandola al centro del potere globale.
Per oltre trent'anni, il suo caschetto impeccabile e gli immancabili enormi occhiali da sole scuri, sono stati più di un'uniforme: erano il simbolo di un'autorità assoluta. In qualsiasi sfilata, il suo posto era il migliore. Il suo nome, "Anna", bastava e avanzava.
Ma il suo status non è mai stato solo una questione di ego. È stato il risultato di una visione strategica che ha cambiato tutto. Ha capito prima di chiunque altro che la moda poteva essere un linguaggio universale.
Ha demolito il confine tra passerella e cultura pop, mettendo attori, musicisti e politici sulle copertine di Vogue.
Intuì che una copertina conferiva un "soft power" enorme, un'aura di legittimità che Hollywood e Washington bramavano, e che Vogue poteva essere il custode di quel potere.
Il lusso sfacciato di oggi, con Louis Vuitton che affida la direzione creativa a una popstar come Pharrell Williams o le grandi mostre di moda che riempiono i musei, è il risultato diretto della sua ambizione e della sua lungimiranza.
Anna, resa immortale dal film Il diavolo veste Prada, è solo una parte della storia. Wintour è stata una figura complessa, capace di essere sia la sovrana indiscussa sul trono, sia l'abile stratega che agisce nell'ombra.
Come un comandante militare, prendeva decisioni fulminee e non mostrava alcuna pazienza per l'incompetenza.
Soprannominata "Nuclear Wintour" è riuscita a navigare in un mondo spietato e ha accumulato un prestigio tale che, a un certo punto, si vociferò persino di una sua possibile nomina ad ambasciatrice a Londra. L'indiscrezione si rivelò infondata, ma il solo fatto che fosse credibile dimostra quanto fosse immensa la sua influenza.
Figlia d'arte – suo padre era il direttore del London Evening Standard – il giornalismo era nel suo DNA. La sua ascesa fu rapida e determinata, culminata con la direzione di Vogue America nel 1988.
Per la sua copertina d'esordio scelse una foto con la modella Michaela Bercu in jeans. I tipografi, sconcertati, chiamarono la redazione pensando a un errore. Nessuno aveva mai osato mettere il denim sulla copertina di Vogue.
Ma Wintour aveva già capito dove stava andando il mondo: verso un'informalità che avrebbe rivoluzionato la moda per sempre.
Dietro la facciata pubblica, si nasconde una disciplina ferrea e passioni inaspettate. La sua giornata iniziava alle 4:30 del mattino con una partita a tennis, seguita dalla messa in piega. Chi la conosce bene la descrive come una madre devota e una conversatrice brillante.
La sua passione per il tennis è così totalizzante da spingerla a saltare persino la settimana della moda di New York se coincideva con gli US Open.
E forse è proprio nel tennis che va cercata la chiave del suo addio. L'annuncio, arrivato nel mezzo delle sfilate maschili, ha spiazzato il fashion system.
Ma per un'appassionata di racchette, il tempismo è perfetto, con Wimbledon alle porte. Anna Wintour non sta svanendo in un dolce ritiro. Sta semplicemente cambiando campo. Vogue perde la sua regina, ma le tribune del Centre Court guadagnano la loro tifosa più illustre.
Ancora non si sa. Secondo fonti come Women’s Wear Daily, Forbes e Pedestrian.tv, i nomi in lizza sarebbero:
Vi terremo aggiornati.