Una sentenza della Corte Costituzionale stravolge completamente la pensione di invalidità, sostenendo che la pensione deve essere sempre integrata fino al trattamento minimo, non solo per chi ha svolto attività lavorativa prima del 31 dicembre 1995, come già previsto nei regimi retributivo o misto, ma anche per coloro che hanno iniziato a lavorare esclusivamente dal 1° gennaio 1996, sotto il regime contributivo.
Cosa significa? Che arriva una svolta importante per tutti gli invalidi: l’aumento della pensione.
In questo articolo, vediamo subito prima cosa ha stabilito la Corte e, quindi, il perché e dopo il come. Per informazioni dettagliate in un video esplicativo davvero interessante, consiglio di vedere questo pubblicato da Zona Pensioni.
Percepire una pensione di appena 300 euro al mese non è un’anomalia, ma una condizione concreta che riguarda migliaia di pensionati invalidi in Italia. Un importo così basso rende impossibile una vita dignitosa, soprattutto per chi ha bisogno di cure e assistenza quotidiana. Alla base di questa criticità c’è una riforma storica: la legge n. 335/1995, nota come riforma Dini, che ha introdotto il sistema contributivo.
Dal 1° gennaio 1996, chi ha iniziato a lavorare ha visto la propria pensione calcolata esclusivamente in base ai contributi effettivamente versati, senza alcun riferimento alle retribuzioni finali. Questo ha comportato pensioni nettamente inferiori rispetto a quelle dei lavoratori che avevano versato contributi prima del 1996, i quali hanno potuto beneficiare di sistemi più vantaggiosi (retributivo o misto).
Inoltre, i titolari di pensioni interamente contributive sono rimasti esclusi da benefici accessori come le maggiorazioni sociali e l’integrazione al trattamento minimo, concessi invece, con determinati requisiti, a chi rientra negli altri regimi. Una disparità che ha colpito duramente proprio i soggetti più fragili: gli invalidi civili.
Con la sentenza n. 94/2025, la Corte Costituzionale ha finalmente sanato una delle disparità più gravi del sistema previdenziale italiano.
La sentenza stabilisce che anche chi percepisce una pensione calcolata interamente con il metodo contributivo ha diritto, se in possesso dei requisiti, a ricevere l’integrazione al minimo.
La norma contestata faceva parte della Legge n. 335 dell’8 agosto 1995, nota come riforma Dini, che ha riformato il sistema pensionistico italiano. In particolare, è stato annullato l’articolo 1, comma 16, che impediva ai pensionati invalidi con pensioni esclusivamente contributive di ricevere l’integrazione economica prevista per chi ha redditi più bassi.
Si tratta di un passaggio cruciale per la tutela della dignità dei pensionati invalidi, che fino a oggi hanno dovuto sopravvivere con assegni ben al di sotto della soglia minima.
Questa pronuncia cambia il quadro normativo e apre la strada al riconoscimento di un diritto fondamentale: garantire un trattamento economico adeguato a chi, per ragioni di salute e carriera lavorativa, si è trovato ai margini del sistema pensionistico.
Mettendo fine a questa disparità, anche chi ha una pensione contributiva pura potrà ricevere, se in possesso dei requisiti, un assegno mensile pari al trattamento minimo Inps, pari a 603,40 euro nel 2025.
Dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale, entra in vigore la decisione della Corte che dichiara illegittima la norma che escludeva i titolari di pensioni di invalidità civile calcolate con il sistema contributivo dall’integrazione al trattamento minimo.
La sentenza, però, non ha effetto retroattivo. L'integrazione si applicherà solo alle pensioni future, maturate dopo l’entrata in vigore della pronuncia. Chi già riceve una pensione di invalidità calcolata con il metodo contributivo non avrà diritto ad arretrati o a un ricalcolo dell’importo.
Si tratta comunque di un passo avanti importante, che pone fine a una discriminazione storica e riconosce pari dignità economica a tutti i pensionati invalidi, a prescindere dall’anno in cui hanno iniziato a lavorare o dal sistema previdenziale applicato.
La Corte Costituzionale stabilisce che la pensione di invalidità deve sempre essere integrato fino al trattamento minimo di 603,40 euro, anche per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 con il sistema contributivo, superando così una disparità storica.
La riforma Dini del 1995 aveva escluso i pensionati invalidi con calcolo contributivo puro dall’integrazione, causando assegni molto bassi (anche intorno ai 300 euro), ma la nuova sentenza annulla questa esclusione per garantire maggiore equità.
L’integrazione si applicherà solo alle pensioni future, senza riconoscere arretrati, ma rappresenta un importante passo avanti per tutelare la dignità economica di oltre un milione di pensionati invalidi in Italia.