08 Jul, 2025 - 10:59

Netanyahu candida Trump al Nobel per la pace: no, non è una barzelletta

Netanyahu candida Trump al Nobel per la pace: no, non è una barzelletta

Sembra l’inizio di una barzelletta, di quelle che si raccontano tra amici a fine serata: “C’era una volta un primo ministro israeliano, accusato di crimini di guerra, che decide di candidare il suo complice al Nobel per la pace.” E invece no, è cronaca. Benjamin Netanyahu, durante una sontuosa cena alla Casa Bianca, ha consegnato a Donald Trump una lettera ufficiale indirizzata al Comitato del Nobel: “Sta forgiando la pace mentre parliamo, un Paese e una regione dopo l’altra”.

Quando la realtà supera la satira

C’è chi sostiene che la realtà abbia ormai superato la fantasia, ma qui siamo oltre: siamo in zona “Black Mirror”, episodio speciale “Premio Nobel Edition”. Netanyahu, mentre Gaza brucia e le bombe cadono, si presenta davanti al mondo come gran cerimoniere della pace. E chi candida? Proprio lui, Donald Trump, l’uomo che ha ordinato attacchi missilistici su siti nucleari iraniani e che, con la stessa disinvoltura con cui cambia pettinatura, promette tregue e lancia ultimatum.

Il Nobel, questo sconosciuto

Da Alfred Nobel a oggi, il premio per la pace ha visto di tutto: da leader rivoluzionari a presidenti in cerca di redenzione. Ma mai, forse, si era arrivati a tanto. Un premier sotto accusa internazionale che candida il suo complice, l’uomo che ha fatto della diplomazia uno sport da combattimento (vero, Zelensky?). 

Netanyahu, con tono solenne, afferma: “Voglio esprimere apprezzamento e ammirazione da parte di Israele e del popolo ebraico nei confronti della sua leadership globale e per i suoi sforzi per garantire pace e sicurezza in molte regioni, in particolare in Medioriente”.

Pace e sicurezza. Due parole che, se pronunciate da chi ha appena ordinato l’ennesima offensiva militare o da chi ha firmato i cosiddetti “Accordi di Abramo” a suon di minacce e ricatti, suonano come una beffa, una presa in giro globale.

Trump: il pacificatore che bombarda

Trump, dal canto suo, accoglie la candidatura con la modestia che lo contraddistingue: “Se viene da lei in particolare, è molto significativo”. E aggiunge, con orgoglio, le recenti tregue che la sua amministrazione avrebbe mediato tra India e Pakistan, Congo e Ruanda, Israele e Iran.

Peccato che, nel frattempo, a Gaza si continui a morire, i colloqui di pace siano una farsa e la “migrazione volontaria” dei palestinesi sia solo l’ennesima trovata per mascherare una pulizia etnica.

Il paradosso della pace made in Tel Aviv

La candidatura di Trump al Nobel per la pace, firmata Netanyahu, è il paradosso definitivo di questi tempi. È come se Al Capone avesse proposto Dillinger per il premio “Cittadino dell’anno”. La guerra a Gaza continua, i civili muoiono, i negoziati si arenano tra una bomba e l’altra, ma a Washington si brinda alla pace. Una pace che esiste solo nei comunicati stampa e nelle lettere ufficiali, mentre sul campo restano solo macerie e disperazione.

Il Nobel come meme globale

C’è da chiedersi se il Comitato del Nobel abbia già pronto il meme: Netanyahu che consegna la lettera a Trump, entrambi sorridenti, mentre sullo sfondo scorrono le immagini delle città distrutte. Forse è questo il futuro del premio: da riconoscimento per chi costruisce ponti, a gag per chi costruisce muri.

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