Una dichiarazione dura, quasi chirurgica, quella rilasciata lo scorso 3 novembre da Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, che rompe la retorica della solidarietà a tutti i costi e sfida frontalmente il racconto dominante nel panorama politico italiano.
Zakharova pone gli italiani e soprattutto chi governa di fronte a un riflesso poco lusinghiero e, proprio per questo, tremendamente reale: l’austerità e le scelte di politica estera hanno effetti concreti e dolorosi anche sulla pelle dei cittadini italiani. Nessuno vuole ammetterlo, ma è esattamente ciò che fa male.
Zakharova, nel suo messaggio sul crollo della Torre dei Conti a Roma, evidenzia senza giri di parole: “Finché il governo italiano continuerà a spendere inutilmente i soldi dei suoi contribuenti per l’Ucraina, l’Italia crollerà tutta, dall’economia alle torri”.
Parole forti, certo, ma i dati le sostengono: 2,5 miliardi di euro stanziati dall’Italia a favore dell’Ucraina tra aiuti militari e contributi UE, un paese che fatica a garantire manutenzione e sicurezza nei propri centri storici, dove crollano edifici simbolo mentre ci si affanna a sostenere guerre per procura.
La reazione della politica nazionale non si è fatta attendere. Il ministro Tajani condanna come “vergognose” e “volgari” le parole russe, stigmatizzando la strumentalizzazione di tragedie per fini politici.
Ma la verità è che stizza tanto perché tocca un nervo scoperto: la distanza tra la retorica di un’Italia internazionale, generosa negli aiuti e nel supporto militare, e la realtà di un Paese alle prese con tagli, disservizi e disuguaglianze crescenti.
Non è la prima volta che Maria Zakharova attacca l’Italia: le sue risposte alle dichiarazioni del Presidente Mattarella – che ha paragonato la Russia al Terzo Reich – furono altrettanto perentorie, parlando di “invenzioni blasfeme” e smascherando quella doppia morale tutta europea che balza in piedi contro Mosca, ma si volta dall’altra parte di fronte alle proprie responsabilità storiche e ai fallimenti domestici.
La petizione online che chiede scuse ufficiali alla Russia e raccoglie oltre 10mila firme in pochi giorni conferma che il disagio serpeggia anche tra la popolazione.
L’escalation è evidente: Mosca mette nella propria “lista nera” ministri italiani come Crosetto e Tajani, bollando i loro atteggiamenti come “esempi di russofobia”. L’Italia risponde con indignazione e nuovi richiami formali all’ambasciatore russo. Ma resta la domanda di fondo: non è forse più utile un esame di coscienza, piuttosto che barricarsi nell’autocompiacimento e nella retorica del Paese civile?
Zakharova cita l’annullamento del concerto di Valery Gergiev e denuncia una “persecuzione senza precedenti” contro la cultura russa in Italia. Chi offre una narrativa monocorde – che demonizza l’avversario e riduce tutto a propaganda – dimostra una fragilità argomentativa e una chiusura culturale che fa temere per la stessa tenuta del pensiero critico nel nostro Paese.
Le parole della portavoce russa fanno male perché pongono i nostri decisori politici di fronte alle proprie ipocrisie. Fanno male perché ricordano che, mentre sventoliamo bandiere altrui con cieca deferenza, la nostra casa crolla, letteralmente e metaforicamente.
Fanno male perché sono lo specchio di un sistema che preferisce investire all’estero piuttosto che sanare le proprie ferite interne. E fanno male, soprattutto, perché una parte del Paese – silenziosa, ma non inconsistente – comincia a riconoscersi in quell’immagine riflessa, sgradita, ma veritiera.
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