Negli ultimi mesi il nome “Articolo 52” è balzato agli onori delle cronache milanesi, diventando sinonimo di ronde cittadine, giustizia fai-da-te e tensioni sociali. Le indagini della procura di Milano hanno portato all’identificazione di nove componenti principali di Articolo 52, ora indagati per associazione a delinquere.
Secondo quanto emerso, si tratta di uomini tra i 18 e i 30 anni, residenti in diverse zone di Milano, senza legami diretti con organizzazioni dell’estrema destra ma con profili personali che tradiscono simpatie per quell’area. Alcuni di loro risultano studenti o lavoratori precari, altri già noti alle forze dell’ordine per reati minori.
Questi individui sono considerati i promotori e organizzatori delle spedizioni punitive, responsabili della gestione dei canali social, della raccolta fondi (per esempio tramite piattaforme come Revolut) e della pianificazione logistica delle ronde. Le autorità hanno sequestrato dispositivi elettronici e analizzato migliaia di messaggi, individuando una struttura organizzativa sorprendentemente articolata, con ruoli precisi e una divisione delle responsabilità.
Il gruppo prende il nome dall’articolo 52 della Costituzione italiana, che sancisce il dovere di difesa della Patria. Tuttavia, il riferimento costituzionale viene reinterpretato in chiave militante: Articolo 52 si presenta come un movimento anticrimine, nato per “difendere la città dal degrado” attraverso azioni dirette e spesso violente, rivolte in particolare contro i cosiddetti “maranza”, termine con cui si indicano giovani, spesso stranieri o di seconda generazione, accusati di piccoli reati o comportamenti antisociali.
Il gruppo si è formato e organizzato principalmente attraverso canali Telegram e pagine Instagram, ora chiuse, dove venivano pianificate ronde e azioni punitive, documentate poi con video e post che hanno rapidamente fatto il giro del web.
Articolo 52 ha attirato l’attenzione pubblica e delle forze dell’ordine dopo la pubblicazione di video scioccanti che mostravano pestaggi e aggressioni, come quello avvenuto nella zona della Darsena a Milano, dove un ragazzo di origine nordafricana è stato accusato di furto e picchiato da un gruppo di persone incappucciate.
Queste azioni sono state rivendicate come “giustizia” contro il presunto lassismo delle istituzioni, con messaggi che incitavano apertamente alla violenza e alla reazione diretta contro chi veniva percepito come una minaccia per la sicurezza urbana.
La strategia comunicativa del gruppo si è basata sulla viralità dei contenuti e sull’appello alla “difesa della patria”, con una forte componente identitaria e, secondo le indagini, anche razzista.