Sono passati oltre quarant’anni dall’enigma della morte di Roberto Calvi, noto come il “banchiere di Dio” per i suoi legami con il Vaticano, protagonista della più misteriosa e discussa vicenda finanziaria e giudiziaria della storia recente italiana. La sua fine, avvolta da ombre di potere, mafia, massoneria e segreti internazionali, continua ancora oggi a suscitare domande: Calvi si tolse davvero la vita o fu assassinato? Ripercorriamo la vicenda e le tappe delle indagini.
Il corpo di Roberto Calvi fu ritrovato il 18 giugno 1982 penzolante da una impalcatura sotto il ponte dei Blackfriars (i “Frati Neri”) a Londra. Il banchiere era scomparso da Roma qualche giorno prima, in fuga dopo il crollo del Banco Ambrosiano, uno dei più significativi scandali finanziari d’Europa, e con le istituzioni inglesi e italiane che già indagavano su enormi ammanchi di capitali e rapporti opachi con lo IOR (Istituto per le Opere di Religione, meglio noto come banca vaticana).
La scena del ritrovamento stupì gli investigatori: Calvi, all’epoca 62enne, aveva nelle tasche cinque mattoni e una cospicua somma di denaro in varie valute. Indossava abiti eleganti ed era appeso per il collo a un’impalcatura inaccessibile ai più. Fin dal primo esame, la polizia inglese ipotizzò il suicidio, ipotesi avallata da una prima autopsia che non riportava segni evidenti di colluttazione. Ma la famiglia, sostenuta da alcuni consulenti e legali, non accettò mai questa spiegazione, sottolineando la fede cattolica di Calvi e l’assenza di motivi personali per un gesto disperato.
Una prima inchiesta del coroner britannico nel luglio 1982 decretò il suicidio, ma una seconda inchiesta, svolta l’anno successivo su pressione della famiglia, si concluse con un verdetto aperto: nessuna certezza sulla dinamica della morte. Negli anni successivi, la procura di Roma assunse la titolarità delle indagini grazie a testimonianze di collaboratori di giustizia ed elementi emersi in Italia, che parlarono esplicitamente di “delitto commissionato” ai danni del banchiere, schiacciato tra la mafia, la massoneria P2 di Licio Gelli e interessi vaticani e internazionali.
La svolta arrivò negli anni ’90 quando, dopo l’insistenza dei familiari, vennero condotte nuove indagini indipendenti da team forensi britannici e italiani. Le conclusioni furono sorprendenti: le lesioni al collo di Calvi non erano riscontrabili come tipiche dell’impiccagione volontaria, non c’era traccia di polvere di mattoni sotto le unghie, né segni sulle scarpe di Calvi riferibili al contatto con l’impalcatura, elementi che resero praticamente impossibile la tesi del suicidio. Inoltre, il fatto che i mattoni (simbolo legato anche alla massoneria) fossero riposti in tasche e cavità dei vestiti si presentava come una messa in scena piuttosto che come una preparazione da parte della stessa vittima.
Le ricostruzioni più attendibili ipotizzano che Calvi fu portato con una barca sotto il ponte, assassinato per strangolamento e poi “appeso” per simulare il suicidio, il tutto probabilmente per ordine della criminalità organizzata, che temeva rivelazioni su grossi flussi di denaro gestiti dal Banco Ambrosiano, in alleanza con esponenti della P2 e del mondo vaticano.
Nel 1991, e poi nel 1998 e nel 2002, nuovi esami forensi sulle spoglie continuarono a rafforzare la tesi dell’omicidio e portarono la magistratura italiana ad avviare il primo vero processo per omicidio a carico di affiliati a Cosa Nostra, esponenti della massoneria e imprenditori.
Nel 2005, dopo vent’anni di indagini, furono accusati formalmente dell’omicidio di Calvi:
La morte di Roberto Calvi resta uno dei più grandi misteri irrisolti d’Europa, punto di confluenza di mafia, Vaticano, massoneria e potere politico-finanziario. L’identificazione del mandante e degli esecutori materiali del delitto non è mai stata sancita né dalla magistratura italiana né da quella britannica. Gli esiti forensi hanno ormai quasi totalmente fugato l’ipotesi del suicidio, ma il giallo del movente (roscissione di “patti” illeciti? minaccia ai potenti?) e la catena dei depistaggi coinvolgono ancora oggi giornalisti e storici.
Il caso Calvi costituisce ancora una dolorosa ferita aperta nella storia italiana, simbolo di connivenze e segreti che difficilmente verranno svelati completamente: la verità processuale parla di morte per mano altrui, ma la verità storica, quella delle responsabilità ultime e delle loro motivazioni, è affidata alle ipotesi e alla memoria collettiva.