Lo scandalo legato a Jeffrey Epstein si arricchisce di nuovi sviluppi dopo la diffusione di una serie di lettere finora inedite, che documentano contatti frequenti tra il controverso finanziere e numerose figure di primo piano del panorama internazionale.
Celebrità, diplomatici, imprenditori e potenti intermediari emergono da una rete di relazioni che getta nuove ombre su uno dei casi giudiziari più inquietanti dell’ultimo decennio.
Le missive, acquisite nel corso di indagini parallele in corso negli Stati Uniti, fanno sorgere domande sul ruolo di queste personalità e sul grado di consapevolezza delle loro interazioni con Epstein. Scendiamo nei dettagli.
A sei anni dalla sua morte, l'ombra di Jeffrey Epstein continua ad allungarsi, e ogni nuova rivelazione non fa che rendere più nitidi i contorni di un abisso di complicità e orrore.
La recente pubblicazione da parte del New York Times di lettere inedite e di fotografie scattate all'interno della sua famigerata villa di Manhattan non aggiunge solo dettagli, ma dipinge un quadro desolante di come il potere, l'influenza e il prestigio dell'élite mondiale abbiano fornito la facciata per crimini inenarrabili.
Le lettere, scritte in occasione del 63° compleanno del finanziere nel 2016, sono una galleria di elogi che, letti oggi, suonano sinistri.
L'ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak lo definisce "UN COLLEZIONISTA DI PERSONE", lodandone l'infinita curiosità.
È però la lettera del regista Woody Allen che ci fa gelare letteralmente il sangue. Rievocando le cene a casa di Epstein, le descrive come "sempre interessanti" per la varietà di ospiti, da politici a scienziati, fino a membri di famiglie reali.
Poi, con una lucidità quasi surreale, nota che il servizio era spesso svolto da "diverse giovani donne" che gli ricordavano "il Castello di Dracula, dove Lugosi ha tre giovani vampire che servono il posto". Una metafora che, involontariamente o meno, ci fa comprendere l'atmosfera predatoria del luogo.
Accanto a loro, altri nomi di spicco come il linguista Noam Chomsky e il fisico Lawrence Krauss contribuivano a cementare l'immagine di Epstein come un mecenate intellettuale, un uomo la cui compagnia era ricercata ai massimi livelli della società.
Queste testimonianze scritte mostrano la prima, fondamentale, linea di difesa di Epstein: la sua legittimazione attraverso una rete di contatti impeccabile.
Se le lettere costruivano la facciata, le fotografie dell'interno della sua villa ne svelano il grottesco e terrificante retroscena. L'arredamento non era quello di un miliardario, ma di un predatore che si circondava dei simboli della sua perversione.
Una tigre impagliata, una prima edizione di "Lolita" di Nabokov esposta in bella vista, bulbi oculari artificiali incorniciati all'ingresso. Ogni oggetto sembrava un trofeo, una dichiarazione di intenti.
La tecnologia serviva al controllo: telecamere di sorveglianza monitoravano la sua camera da letto e le stanze adiacenti. La cosiddetta "stanza dei massaggi", teatro delle violenze secondo innumerevoli testimonianze, era un allestimento da incubo: dipinti di nudi femminili, scaffali colmi di lubrificanti e, come un monito macabro, una palla e catena d'argento.
Le pareti erano un altro strumento di autocelebrazione. Fotografie lo ritraevano con la sua complice Ghislaine Maxwell, ma anche con Papa Giovanni Paolo II, Bill Clinton, Elon Musk e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Un catalogo visivo del potere che frequentava, lo stesso potere che, implicitamente, lo proteggeva da ogni accusa.
Queste nuove rivelazioni non fanno che infittire il mistero sulla morte di Epstein, avvenuta in carcere nel 2019 e archiviata come suicidio, alimentando teorie del complotto mai sopite.
Le lettere e le foto sono due facce della stessa medaglia: mostrano come la benevolenza pubblica dell'élite abbia potuto convivere, o forse persino mascherare, l'orrore privato che si consumava indisturbato dentro quella villa.
La domanda che rimane, più inquietante che mai, non è più solo cosa facesse Epstein, ma chi, vedendo tutto questo, abbia scelto di non vedere.