Il caso del delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007 con l’omicidio di Chiara Poggi, è tornato sotto i riflettori grazie al programma “Filorosso” condotto da Manuela Moreno su Rai3.
Nel corso della trasmissione, è stato approfondito uno degli aspetti più controversi dell’indagine: la determinazione precisa dell’orario della morte della vittima, condizionata, secondo diversi esperti, dall’assenza di un dato fondamentale durante l’autopsia — il peso corporeo, mai misurato per mancanza di una bilancia nell’obitorio di Vigevano.
Alla base delle controversie giudiziarie vi è la metodologia seguita durante l’autopsia. In medicina legale, la stima dell’orario del decesso si basa principalmente sull’analisi della temperatura corporea residua, del rigor mortis, delle ipostasi ematiche e, in modo cruciale, sulla massa corporea. Quest’ultimo parametro incide sulla velocità di raffreddamento del corpo (algor mortis), influenzando direttamente la precisione della finestra oraria in cui si è consumato il delitto.
Al momento dell’autopsia, secondo la relazione del medico legale Marco Ballardini, non fu possibile pesare Chiara Poggi, poiché il locale in cui si trovava il corpo era privo di bilancia. La stima fornita oscillava tra i 45 e i 58kg, ricavata dalla corporatura, dalla visione di fotografie e dagli abiti indossati. Questa approssimazione ha introdotto un margine di errore considerevole nel calcolo della curva di raffreddamento e, di conseguenza, nell’orario della morte.
Durante “Filorosso”, il professor Vittorio Fineschi, luminare di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma, ha sottolineato quanto sia difficile circoscrivere il momento preciso della morte senza dati certi come il peso corporeo.
Secondo Fineschi, la stima dell’orario del decesso può variare — anche di un’ora e mezza — proprio a causa delle incertezze sui parametri di base. L’esperto ha aggiunto che “pochissimi istituti dove si fanno autopsie dispongono di una bilancia certificata e tarata”, evidenziando una criticità strutturale che affligge molti obitori italiani.
La mancanza di precisione nell’ora della morte ha avuto riflessi importanti sulle indagini e, successivamente, sul giudizio penale. Le diverse consulenze prodotte in sede processuale hanno collocato il decesso in intervalli temporali divergenti: la perizia del pubblico ministero lo poneva tra le 10.30 e le 12 (con una maggiore centratura tra le 11 e le 11.30), mentre altri consulenti, specialmente quelli della difesa, suggerivano una fascia dalle 9.00 alle 10.00.
Alcune ricostruzioni più recenti, basandosi su nuovi accertamenti e sulle incongruenze della stima autoptica, hanno ipotizzato anche orari successivi alle 11, allargando ulteriormente la finestra temporale.
Questa incertezza si è riversata sulla valutazione degli alibi, in particolare quello di Alberto Stasi, il principale imputato del caso, e ha contribuito all’intenso dibattito fra accusa e difesa che si è protratto per diversi anni. In tribunale, la vulnerabilità della “tempistica” della morte ha alimentato il clima di contrapposizione, lasciando aperti interrogativi decisivi sulla dinamica del delitto.
Il caso Poggi ha messo in risalto una problematica diffusa: la mancanza di attrezzature adatte negli obitori italiani. Bilance certificate, termometri tarati e kit di rilevazione ambientale sono strumenti essenziali per le indagini forensi, ma spesso non disponibili. Secondo gli esperti, tale carenza mina la precisione degli esami medico-legali e, di conseguenza, la solidità dei processi penali.