Quando avevo diciott’anni, a pochi giorni dalla scomparsa della mia bisnonna, il cugino di due mie care amiche morì in un incidente stradale. Per quante disgrazie avessi vissuto nella mia breve esistenza, per fortuna il lutto non era stato fra queste. Ma se da un lato la perdita di una persona molto anziana, seppur intima, ebbe un impatto meno scioccante, quella di un semplice conoscente mi devastò. Rudy era poco più grande di me e, benché non fossimo in buoni rapporti o non ci stessimo proprio simpatici, ricordo che apprendere la notizia della sua morte mi spezzò il cuore. La sensazione fu simile al sopravvivere a un violento terremoto: ci sei ancora, ma la coscienza è come assente, arenata chissà dove negli angoli più bui della tua psiche. Continuai a sentirmi così per parecchi mesi e la mia pregressa depressione peggiorò, esplorando nuovi territori del dolore. Credo che a scioccarmi tanto fu il vedere la morte tangibile per la prima volta, che la sensazione istintiva del “a me non capiterà” fosse crollata per venire rimpiazzata dalla paura atroce che potesse accadere a qualcuno che amavo. E se ci pensate del lutto dei giovani fra giovani nel cinema se ne è parlato troppo poco, come se ai ragazzi non succedesse o non gli spettasse comunque provare una sofferenza così forte. In teoria sarebbe anche giusto, ma in realtà tutti noi sappiamo che il tristo mietitore non grazia nessuno.
E quindi, perché non affrontarlo più spesso nei film? Forse è questa la domanda che si è posto il regista islandese Rúnar Rúnarsson nel momento in cui ha avuto l’idea di scrivere la sceneggiatura del suo quarto lungometraggio, Frammenti di Luce, presentato poi in anteprima a maggio 2024 al festival di Cannes, scelto inoltre come opera d’apertura nella sezione Un Certain Regard. Una (Elín Hall) e Diddi (Baldur Einarsson) sono due giovani studenti d’arte che, dopo aver condiviso uno stretto rapporto d’amicizia, sono diventati amanti all’insaputa della storica fidanzata di lui, con la quale da anni mantiene un rapporto a distanza. Sempre più innamorato di Una e desideroso di vivere il loro legame alla luce del sole, Diddi decide di recarsi nella sua cittadina d’origine per lasciare Klara (Katla Njálsdóttir) di persona. Ma, durante il viaggio, una brusca esplosione all’interno di una galleria autostradale stroncherà l’esistenza di Diddi. Una e Klara, finora sconosciute, si ritroveranno a passare 24 ore insieme, mentre impareranno a misurarsi col dolore straziante della perdita.
Concettualmente simile a Come Closer, esordio cinematografico della cineasta israeliana Tom Nesher, anch'esso presentato lo scorso anno a Cannes e in uscita domani nelle sale italiane, Frammenti di Luce parla però allo spettatore in modo implicito, silente nella sua drammaticità fitta. Pochi dialoghi, nessun monologo, e cinque ragazzi che tentano di darsi conforto l’un l’altro nella disperazione, ma che allo stesso tempo singolarmente masticano a denti stretti e digeriscono al meglio che possono un malessere per loro del tutto inedito. E non solo: le figure maschili fanno da sfondo, fungendo da palcoscenico per due ragazze alle prese con la medesima sofferenza per la perdita del compagno. Una sa già, Klara capirà nel corso della giornata, e, affrontando sentimenti misti di gelosia e rabbia, finiranno con l’imparare presto a stringersi, intrecciando un filo che parte dall’elaborazione della morte dell’uomo che entrambe, a modo proprio, hanno amato.
Il punto più forte e commovente dell’intera pellicola risiede nell’unione inaspettata fra le due protagoniste che, anziché odiarsi, finiranno col dormire abbracciate nel letto di Diddi, come due sorelle. Assai intimo, Frammenti di Luce è il perfetto ritratto del lutto giovanile, di chi è ancora troppo acerbo per possedere gli strumenti adatti a dare la giusta dimensione a qualcosa di mostruoso, che nessuno di noi sarà mai davvero in grado di accettare. 3,6 stelle su 5.