Dovrà risarcire la famiglia di Giulia Tramontano - uccisa a Senago il 27 maggio 2023 - con una somma di 25mila euro. È quanto stabilito dai giudici del Tribunale civile di Milano nei confronti della cognata di Alessandro Impagnatiello, condannato per il delitto sia in primo che in secondo grado.
Laura Ciuladaite, di origini lituane, è stata condannata in seguito a una compravendita sospetta della Volkswagen T-Roc di proprietà di Impagnatiello. Quella che l'uomo usò, secondo gli inquirenti, per trasportare il corpo senza vita della compagna Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, dalla loro casa di Senago fino all'intercapedine dietro cui fu ritrovata.
In pratica, due mesi dopo il delitto, la donna avrebbe acquistato l'auto dalla famiglia Impagnatiello, che gliel'avrebbe venduta per 10mila euro: una somma di molto inferiore al valore di mercato, stimato al doppio. Non una mossa casuale, secondo i giudici del Tribunale civile di Milano: l'obiettivo sarebbe stato quello di "diminuire la consistenza patrimoniale" dell'imputato.
Così facendo, Impagnatiello sarebbe risultato nullatenente e la famiglia della vittima avrebbe perso il diritto di sottrargli il bene per ragioni creditorie. Da qui, secondo quanto riportato in esclusiva da Il Corriere della Sera, la condanna, per Ciuladaite, al pagamento di un risarcimento di 25mila euro nei confronti dei soggetti offesi.
A destare sospetti sul reale utilizzo del veicolo e sulla trasparenza delle operazioni legate alla sua gestione (affidata da Impagnatiello stesso al fratello Omar, dal carcere), rafforzando l'ipotesi che la vendita fosse servita solo ad evitarne la cessione, sarebbe stato anche il fatto che, nell'ottobre 2024, i familiari di Impagnatiello avrebbero denunciato il presunto furto dell'auto. Furto che, comunque, la compagnia assicurativa si sarebbe rifiutata di erogare, spiegando che "i danni lamentati in relazione all'evento non appaiono riconducibili alla dinamica denunciata".
Il caso di Giulia Tramontano torna così a far parlare di sé dopo aver scosso profondamente l'Italia intera. La giovane, di 29 anni, incinta di sette mesi, fu uccisa brutalmente nella casa che condivideva con Impagnatiello, che provò poi a inscenarne la scomparsa.
Secondo le ricostruzioni, l'uomo - che lavorava come barman per l'Armani Bamboo Bar di Milano - la accoltellò, provò a bruciarla, trasportandone il cadavere nella vasca da bagno e in seguito nel box auto e in cantina, fino al garage dove fu rinvenuto.
Tornato sulla scena, ripulì tutto. La mattina seguente, come se nulla fosse, andò al lavoro, inviando dei messaggi alla compagna per fingere che fosse ignaro di ciò che le era successo. Quando rientrò, presentò un esposto ai carabinieri.
Disse che Giulia si era allontanata mentre lui non c'era, perché la sera prima avevano litigato. Confessò l'omicidio quando era ormai convinto che lo avrebbero smascherato. È poi emerso che aveva avvelenato la 29enne per mesi, nel tentativo di sbarazzarsi del feto.
Gli esperti che lo hanno visitato in carcere - riconoscendolo alla fine capace di intendere e di volere - sono arrivati alla conclusione che agì perché il castello di bugie che aveva creato stava crollando: aveva un'altra relazione e Giulia lo aveva scoperto. Non voleva rinunciare alle sue ambizioni.
Sia in primo che in secondo grado Impagnatiello è stato condannato all'ergastolo. L'ultima sentenza, quella d'Appello, ha però escluso l'aggravante della premeditazione, contestata dall'accusa per via dell'avvelenamento preceduto all'omicidio e altri elementi.
Una decisione che ha lasciato senza parole i familiari della vittima, che piangono da ormai due anni non solo lei, ma anche il bimbo che portava in grembo e che avrebbe voluto chiamare Thiago. "Vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto", il commento di Chiara Tramontano.