La pensione di reversibilità è uno strumento fondamentale del sistema previdenziale italiano, pensato per garantire un sostegno economico ai familiari di un pensionato deceduto.
Tuttavia, la sua applicazione non è sempre chiara e lineare, soprattutto quando entrano in gioco situazioni familiari complesse. Tra i casi più dibattuti figura quello dell’ex coniuge, la cui posizione legale ha generato nel tempo numerosi dubbi e interpretazioni contrastanti.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto finalmente chiarezza, stabilendo che anche l’ex coniuge ha diritto non solo a una parte della pensione di reversibilità, ma anche al riconoscimento degli arretrati, a partire dalla data del decesso dell’ex partner. Una decisione significativa, che potrebbe fare da riferimento per molte altre situazioni simili.
Una nuova e importante pronuncia della Corte di Cassazione cambia le regole sul riconoscimento della pensione di reversibilità agli ex coniugi. Finora era pacifico che, in presenza di un assegno divorzile, anche l’ex coniuge avesse diritto a una quota della pensione spettante al defunto.
La novità introdotta dalla Suprema Corte riguarda però la decorrenza del diritto: non dal momento della decisione che lo riconosce, ma dal giorno del decesso del pensionato.
Questo significa che, anche se inizialmente la pensione di reversibilità è stata attribuita solo al coniuge superstite, nel caso in cui venga accertato successivamente che una parte spetta anche all’ex coniuge, l’Inps è tenuta a versare tutti gli arretrati maturati da quel momento in poi.
Non solo: eventuali somme percepite in eccesso dal primo beneficiario dovranno essere restituite, ma sarà direttamente l’Inps a gestire il recupero, senza che vi sia un confronto diretto tra i due coniugi coinvolti.
La questione della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge attuale e l’ex coniuge è da anni terreno di contenzioso, complice una normativa non sempre chiara e una giurisprudenza altalenante.
Con l’ordinanza n. 23851 del 25 agosto, la Cassazione interviene con una presa di posizione destinata a fare giurisprudenza: se l’ex coniuge ha diritto a una quota della pensione di reversibilità, questa decorre sin dal decesso del pensionato e non da quando l’Inps formalizza il riconoscimento.
Di conseguenza, se il coniuge superstite ha percepito importi superiori a quelli spettanti, sarà l’Istituto a ridurre i pagamenti futuri o richiedere la restituzione, per poi liquidare le somme arretrate all’ex coniuge.
Il provvedimento nasce da una vicenda concreta: una donna aveva contestato l’importo della pensione di reversibilità derivante dall’ex marito, sostenendo che la sua quota fosse stata calcolata in modo errato e che il coniuge superstite stesse ricevendo una somma eccessiva.
In primo grado, la Corte d’Appello le aveva dato ragione in parte, ricalcolando le percentuali spettanti. Ma la donna ha proseguito il ricorso, chiedendo anche la restituzione delle somme non ricevute nei mesi precedenti.
La Cassazione ha accolto pienamente le sue richieste: l’ex coniuge ha diritto non solo alla quota corretta, ma anche agli arretrati maturati fin dalla morte dell’ex marito, indipendentemente dalla data in cui il diritto le è stato formalmente riconosciuto.
La sentenza segna un importante precedente. D’ora in avanti, chi si vede riconoscere tardivamente una quota della pensione di reversibilità potrà pretendere anche gli arretrati, non solo l’adeguamento per il futuro.
Un principio che rafforza le tutele per gli ex coniugi titolari di assegno divorzile e che chiarisce definitivamente che il diritto alla pensione decorre dal decesso del pensionato, non dalla decisione amministrativa o giudiziaria che lo accerta.
Per molti, si tratta di una vera e propria svolta, destinata a incidere su numerosi casi simili ancora pendenti.