Con un’importante decisione depositata il 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche dopo lo scioglimento di un’unione civile può essere riconosciuto un assegno di mantenimento, come già previsto in caso di divorzio tra coniugi.
Una svolta che amplia i diritti delle coppie formate da persone dello stesso sesso, rendendo le tutele economiche più inclusive e paritarie rispetto a quelle garantite nel matrimonio.
Il caso arriva in Cassazione dopo il ricorso presentato da una donna che aveva contratto un’unione civile con la compagna nel 2016.
Al termine della relazione, la donna aveva richiesto un assegno di mantenimento, sostenendo di aver rinunciato alla propria carriera per favorire quella della partner.
Inizialmente il tribunale le aveva riconosciuto un assegno mensile di 550 euro, ma la Corte d’Appello di Trieste aveva successivamente annullato la decisione. Da qui il ricorso alla Suprema Corte, che ha ora ribaltato il verdetto.
Con l’ordinanza n. 25495/2025, la Cassazione ha chiarito che l’articolo 5, comma 6 della legge sul divorzio (legge n. 898/1970) si applica anche in caso di unioni civili, pur trattandosi di una forma giuridica diversa dal matrimonio.
Secondo i giudici, l’unione civile è una formazione sociale tutelata dalla Costituzione e, come tale, merita pari riconoscimento anche nei diritti economici successivi alla sua cessazione.
La legge prevede che, in caso di separazione o divorzio, il giudice possa stabilire il versamento di un assegno periodico a favore del partner che si trovi in condizioni economiche svantaggiate e non sia in grado di mantenersi autonomamente.
La decisione si basa su diversi criteri, tra cui:
Secondo la Cassazione, l’assegno può rispondere a due diverse finalità, che si applicano anche in caso di unione civile:
La Cassazione ha anche sottolineato che, nelle unioni civili, possono esserci figli nati da precedenti relazioni, in adozione o in affido (come nella stepchild adoption), oppure familiari anziani da accudire.
Tutti elementi che contribuiscono a definire il tipo di legame e il contributo dato alla relazione, e che devono essere valutati dal giudice in sede di assegnazione dell’assegno.
Attenzione: quanto stabilito dalla Cassazione non vale per le coppie conviventi non unite civilmente.
In questi casi, pur esistendo strumenti come il contratto di convivenza, non è previsto alcun diritto automatico a un assegno di mantenimento dopo la fine della relazione.
Le tutele sono dunque riservate solo a chi ha formalizzato l’unione attraverso matrimonio o unione civile.
Con questa decisione, la Corte di Cassazione ha compiuto un passo importante verso la piena parità di trattamento tra matrimonio e unione civile, almeno sul piano economico.
Si rafforza così il principio che le scelte fatte all’interno della coppia – come rinunciare alla propria indipendenza economica per il bene comune – devono essere riconosciute e tutelate, indipendentemente dalla forma giuridica del legame.