E se ci fosse qualcuno in grado di far svanire di colpo anche la più piccola forma di angosciante sofferenza dell’anima col solo potere di un abbraccio? Così, sparita nel nulla ogni traccia di dolore, come se non fosse mai esistita. Saremmo davvero capaci di non consumare egoisticamente a morte quel qualcuno che con le sue braccia riesce ad annientare ogni nostro turbamento? Che poi, in fondo, non c’è forse questo alla base dei rapporti umani? Ci innamoriamo, ci riproduciamo, ci leghiamo a chi ci circonda, ma quante unioni nascono solo per regalare del bene agli altri? È difficile ammetterlo, però c’è una forte componente narcisista e utilitaristica in ciascuno di noi che ci induce a nutrirci dell’affetto altrui come fossimo parassiti. Tant’è che dall’alto del nostro “imperituro” amore, nel momento in cui veniamo lasciati, abbandonati, allontanati, spesso tiriamo fuori la parte più meschina, iraconda, vendicativa e coloro che sono stati per noi compagni, amici, figli improvvisamente ai nostri occhi si trasformano in nemici. A volte, purtroppo, arrivando anche a ucciderli per punirli di non essere rimasti. Credo che l’aspetto più importante de La Valle dei Sorrisi, il terzo lungometraggio del regista italiano Paolo Strippoli, sia proprio l’implicita riflessione in tal senso.
Matteo Corbin (Giulio Feltri) è un adolescente di sedici anni con lo strano e inspiegabile potere di curare il dolore di chiunque, soltanto abbracciandolo. O meglio, lasciandosi abbracciare. Vive con i genitori a Remis, un piccolo comune tra le Alpi avvolto dal grigiore della nebbia, come fosse isolato dal resto del mondo. A Remis sorridono tutti, ma nessuno sembra essere felice. Una volta a settimana Mauro (Paolo Pierobon), il papà di Matteo, obbliga il figlio a indossare una tunica e a ricevere gli abitanti di quella comunità, fin troppo serafica, per poterli stringere fra le sue braccia e distruggere il loro dolore in pochi secondi. Così nessuno soffre, nessuno piange, nessuno annega nel proprio malessere. Eppure Remis è silenziosa, quieta, ma non nel modo in cui dovrebbe esserlo un luogo fatto di gente serena. È come se ci fosse un peso sulla coscienza collettiva, ma il richiamo irresistibile dell’egoismo parrebbe essere più forte del senso di colpa. Matteo non è un ragazzo come tutti gli altri e per questo sembra che sia stato deciso per lui che debba pagarne lo scotto rendendosi schiavo a servizio del bene altrui. Ma l’arrivo improvviso a Remis di Sergio Rossetti (Michele Riondino), il nuovo supplente di educazione fisica del liceo locale, cambierà per sempre le cose.
Giunti al terzo lungometraggio di Strippoli penso si possa affermare con assoluta certezza che il cineasta pugliese ha trovato la sua vocazione nel genere dell’orrore, ma solo per utilizzarlo come mezzo per scavare a mani nude nei lati più torbidi dell’animo umano. Ha iniziato dirigendo il film A Classic Horror Story (2020) per Netflix, insieme a Roberto de Feo, per poi passare a Piove (2022), arrivando quest’anno a La Valle dei Sorrisi, presentato il 30 agosto scorso, in anteprima e fuori concorso, all’82ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, sebbene il soggetto sia stato scritto diverso tempo fa. Intitolato L'Angelo Infelice, ideato insieme a Jacopo del Giudice e Milo Tissone, il soggetto originario è stato premiato col Premio Solinas a settembre del 2019.
Devo ammetterlo, pur non essendo un amante dell’horror all’italiana, Paolo Strippoli mi sta facendo cambiare idea. Ho trovato qualcosa di molto interessante in tutti e tre i suoi lungometraggi, dove viene sempre mostrato il peggior sudiciume morale. E credo che non esista orrore più grande di ciò che la psiche umana è in grado di partorire. La Valle dei Sorrisi è caratterizzato da una fotografia cupa, orientata verso il grigio, per enfatizzare un perenne stato di inquietudine trattenuto, celato, ben nascosto dietro la giovialità apparente dei cittadini di un luogo dimenticato da Dio. E se Remis in teoria dovrebbe rappresentare la terra dove nessuno è triste, in realtà traspare un profondo senso di angoscia, scandito dal silenzio e da una calma surreale, quella che io chiamo “la calma dei pazzi”, dove i modi pacati più che tranquillizzare spaventano, facendoti percepire la sensazione che di lì a un attimo possa scoppiare una reazione violenta. Le ambientazioni e l’atmosfera ricordano sia Shining di Kubrick, tratto dal romanzo di Stephen King, che la serie Twin Peaks scritta e diretta da David Lynch, purtroppo scomparso giusto qualche mese fa. Inoltre alcuni primi piani mi hanno ricordato la pellicola Smile (2022) di Parker Finn.
Benché all’inizio possa sembrare il contrario, ne La Valle dei Sorrisi nessuno è solamente vittima o carnefice; del resto, proprio come nella vita vera. Il personaggio di Sergio inoltre, interpretato dall’attore Michele Riondino, rappresenta in pieno il concetto di transfert e il tentativo di espiare i peccati e i sensi di colpa, attraverso qualcuno che il proprio inconscio riconosce come simile a chi abbiamo già perso, andandolo a sostituire. In conclusione, durante la visione del film la nebbia che avvolge Remis pare prendere forma, uscendo dallo schermo e piazzandosi, come una rete a maglia stretta, dritta sul naso e sulla bocca dello spettatore, regalandoci una sensazione opprimente di soffocamento. Anche stavolta per Paolo Strippoli non esistono veri eroi o salvatori, ma soltanto persone in balia della complessità delle emozioni umane. 3,9 stelle su 5.