24 Sep, 2025 - 14:14

Militarizzazione dell’Europa, altro che emergenza: ecco come la lobby delle armi orienta le decisioni politiche

Militarizzazione dell’Europa, altro che emergenza: ecco come la lobby delle armi orienta le decisioni politiche

La militarizzazione dell’Europa non risponde meramente a una “emergenza sicurezza” come predicano istituzioni UE e media mainstream: le scelte che ridisegnano le priorità continentali sono orientate in modo sistematico dalla lobby delle armi, vero motore delle politiche comunitarie degli ultimi anni.

Lobby delle armi : il vero regista delle politiche UE

I dati parlano chiaro: nel solo 2023, i budget per attività di lobbying delle principali aziende europee del settore difesa, tra cui Airbus, Leonardo e Thales, sono aumentati del 40% rispetto all’anno precedente. Centinaia di incontri nei corridoi di Bruxelles hanno permesso ai giganti delle armi di occupare ogni spazio utile al settaggio delle regole e alla corsa ai fondi pubblici: si stima che tra il 2022 e il 2024 le dieci multinazionali principali abbiano investito milioni di euro solo per la pressione politica su europarlamentari e commissari UE.

Mentre la guerra in Ucraina e la crisi mediorientale creavano allarme tra cittadini, queste lobby hanno ottenuto non solo il raddoppio dei bilanci militari (800 miliardi in piani di riarmo europeo), ma accesso privilegiato ai nuovi fondi continuando a indirizzare le priorità legislative e finanziarie – compresa la destinazione dei fondi green e migratori verso la securitizzazione dei confini.

Dai summit alla fabbrica: investimenti, missili e retorica

Dietro i summit UE per la sicurezza si celano piani di riarmo che vedono la lobby armata come protagonista assoluta. Nei mesi scorsi, Italia, Francia, Germania e Polonia hanno firmato una lettera d’intenti per il programma ELSA (European Long-Range Strike Approach), che prevede la creazione di nuovi missili in grado di colpire profondamente nel territorio russo, superando limiti che la diplomazia europea aveva fissato dopo la Guerra Fredda.

La presentazione ufficiale adotta retorica difensiva, ma nella realtà si tratta della riapertura della stagione dei “euromissili” anni ‘80, con nessuna mobilitazione pacifista e un’informazione quasi totalmente assente sul tema.

La presidente Ursula von der Leyen ha presentato il progetto “ReArm Europe”: 150 miliardi di euro in acquisti congiunti, infrastrutture e innovazione nella difesa, uno strumento pensato esplicitamente per favorire le acquisizioni di armamenti europei, aumentare quantità e interoperabilità tra gli eserciti – tutto sotto la regia delle lobby armate, che piazzano i propri funzionari anche nei meccanismi di consultazione comunitari.

Effetti sociali: la pace sacrificata sull’altare del profitto

L’accelerazione militarista imposta dalle lobby ha portato a una ridefinizione dei bilanci: il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale UE prevede ben 131 miliardi per l’industria bellica dal 2028, una cifra che di fatto allontana la prospettiva di una “Europa sociale, verde e democratica”.

Campagne come “Stop Rearm Europe”, sostenute dalle principali reti pacifiste, denunciano un sistema legislativo ormai plasmato dagli interessi industriali, dove il tema della sicurezza viene usato come scudo per promuovere politiche autoritarie e sottrarre risorse a welfare, salute, cultura e cooperazione.

La militarizzazione delle frontiere – con il sostegno diretto delle lobby – trasforma il Mediterraneo e le rotte migratorie in scenari di guerra permanente, con ricadute sulle politiche migratorie e la gestione dei fenomeni socio-economici. Fondi originariamente destinati alla coesione sociale e al PNRR vengono dirottati su grandi progetti di riarmo e sicurezza.

Preziose risorse sottratte a sanità, welfare, lavoro e pensioni

Il nuovo corso militarista europeo ha costretto molti governi a sacrificare settori fondamentali come sanità pubblica, welfare sociale e agevolazioni fiscali, con la drammatica crescita del budget militare imposto dalle lobby e giustificato dalla retorica di una minaccia indefinita e spesso gonfiata dai governi stessi.

Solo negli ultimi dieci anni, i paesi UE hanno più che raddoppiato la spesa militare: dai 147 miliardi del 2014 ai 326 miliardi attuali, con obiettivi che arrivano fino al 5% del PIL, spesso irrealizzabili senza colpire servizi vitali per la popolazione.

Secondo studi finanziari, anche un incremento di appena l’1% della spesa militare si traduce in una riduzione delle risorse per sanità e welfare fino al 15% nell’arco di dieci anni, mettendo a rischio il modello sociale europeo e aggravando le disuguaglianze.

Paesi come Italia e Spagna stanno già affrontando carenze nell’inclusione sociale, difficoltà di accesso ai servizi sanitari e tensioni sull’istruzione pubblica, mentre il deficit pubblico cresce a causa dei piani di riarmo. Nonostante tutto, i governi continuano a giustificare queste scelte con allarmi infondati e scenari di invasione che non reggono di fronte ai dati sulle spese militari europee, ormai superiori al doppio di quelle russe e maggiori persino della Cina.

Questa politica, sostenuta robustamente dalle lobby delle armi, priva cittadini di servizi imprescindibili, costringe a tagli sulle agevolazioni fiscali e fa lievitare la povertà assoluta. Il tutto mentre la maggior parte della popolazione europea si dichiara contraria all’incremento delle spese militari e vorrebbe invece investimenti più significativi in salute, benessere sociale e sostegno alle famiglie.

A chi giova davvero questa militarizzazione?

La narrazione dell’emergenza perpetua è il vero carburante di un sistema in cui la pace è sacrificata per moltiplicare dividendi e consolidare poteri. Le lobby, con budget e influenze crescenti, hanno trasformato l’Europa da spazio di cooperazione a teatro di competizione armata: a beneficiarne sono solo i produttori di armi e chi gestisce strategie di potere, mentre il cittadino viene tenuto all’oscuro delle scelte sul futuro delle proprie comunità.

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