Negli ultimi decenni, la centralità delle multinazionali farmaceutiche – spesso chiamate “Big Pharma” – nella vita politica ed economica dei paesi occidentali è diventata impossibile da ignorare. Non si tratta solo della produzione di medicinali o dello sviluppo di vaccini, ma di un potere capillare che arriva a condizionare le scelte sanitarie nazionali, le priorità di spesa pubblica e persino l’opinione pubblica. Quando in gioco c’è la salute collettiva, la capacità di pochi colossi privati di influenzare governi e istituzioni internazionali diventa tema di cruciale importanza.
Le multinazionali farmaceutiche sono tra le aziende più ricche al mondo. Questo significa enormi capitali da investire non solo in ricerca, ma anche in marketing, lobbying e rapporti con le istituzioni. In molti paesi occidentali, compresi Stati Uniti e Unione Europea, la pressione esercitata dalle lobby di settore è tra le più intense.
I dati ufficiali del Parlamento Europeo mostrano che le aziende farmaceutiche spendono ogni anno milioni per attività di rappresentanza e persuasione politica. Negli Stati Uniti, le campagne elettorali presidenziali ricevono da decenni donazioni significative provenienti da questo settore.
Chi finanzia la politica, spesso ne indirizza le decisioni. Non sorprende quindi che le leggi spesso riescano a tutelare i brevetti, garantendo profitti miliardari per lunghi periodi, oppure che vengano privilegiate cure e farmaci più redditizi rispetto ad alternative meno costose o naturali.
Il tema è diventato particolarmente evidente durante la pandemia. La gestione della distribuzione dei vaccini anti-Covid ha mostrato in maniera lampante l’enorme potere contrattuale delle multinazionali farmaceutiche. Governi che, di fatto, hanno firmato contratti segreti vincolanti, senza possibilità di discutere condizioni, prezzi o responsabilità. Il risultato è stato un colossale spostamento di risorse pubbliche verso poche aziende private – Pfizer, Moderna e altre – che hanno visto crescere i propri bilanci in maniera senza precedenti.
Non si tratta solo di vaccini: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, finanziata anche da fondazioni private legate all’industria farmaceutica, ha spesso sostenuto linee guida in sintonia con gli interessi industriali. Il confine tra salute pubblica e profitto privato diventa così sempre più sottile, e a pagarne il prezzo è la fiducia dei cittadini.
L’influenza delle multinazionali del farmaco non si limita ai governi. Informazione e ricerca scientifica risentono anch’esse di questo potere. Gran parte delle riviste mediche più importanti dipendono dalle inserzioni pubblicitarie e dagli studi finanziati dalle aziende del settore. Questo significa che la narrativa dominante sulla sicurezza, l’efficacia o la necessità di determinati trattamenti spesso non è indipendente, ma orientata da interessi economici.
Nei media mainstream, la situazione non è molto diversa: televisioni e giornali vivono di pubblicità, e le aziende farmaceutiche rappresentano una fetta consistente degli investitori pubblicitari. La conseguenza è una copertura informativa raramente critica, che preferisce rilanciare comunicati ufficiali piuttosto che indagare conflitti di interesse o scandali legati a frodi, dati manipolati o effetti collaterali sottaciuti.
Il problema è strutturale: quando le istituzioni cedono porzioni della propria sovranità decisionale a grandi gruppi privati, la democrazia stessa rischia di incrinarsi. L’accesso alle cure dovrebbe essere un diritto universale, non il risultato di strategie di mercato. Eppure, sempre più frequentemente, scelte cruciali sulla sanità vengono guidate non da ciò che è meglio per i cittadini, ma da ciò che garantisce maggiori profitti alle multinazionali.
Un esempio emblematico è la gestione del prezzo dei farmaci salvavita, come le terapie oncologiche o per malattie rare. Spesso i costi sono talmente elevati da mettere in crisi interi sistemi sanitari nazionali. Non si tratta di una necessità economica oggettiva, ma di politiche di prezzo pensate per massimizzare i ricavi, anche a costo di lasciare intere fasce di popolazione senza cure.
Nel panorama attuale, parlare di alternative significa occuparsi di trasparenza, indipendenza della ricerca e rafforzamento dei sistemi sanitari pubblici. Sarebbe necessario investire in enti di ricerca totalmente slegati dagli interessi privati, garantire la pubblicazione integrale dei dati clinici e promuovere una cultura medica che consideri il paziente non come consumatore, ma come cittadino titolare di diritti.
Allo stesso tempo, cresce la domanda di medicine naturali e approcci alternativi, spesso ostacolati proprio dalle lobby che vedono in queste pratiche una minaccia al proprio monopolio. Recuperare spazi di libertà significa anche ridurre la dipendenza da decisioni calate dall’alto, riconoscendo che la scienza non può essere ridotta a mero strumento aziendale.