Quando la magistratura bussa alle porte del potere, i politici reagiscono tutti allo stesso modo: invocano il complotto. E così anche Pedro Sanchez, il premier socialista spagnolo, ha deciso di aggiungersi alla lista di capi di governo che, messi alle strette dalle indagini, si trincerano dietro la teoria della persecuzione.
Il bersaglio? Suo fratello David e sua moglie Begoña Gómez, rinviati a giudizio con accuse di presunta corruzione e traffico d’influenze. Per il leader spagnolo non si tratta di giustizia che fa il suo corso, ma di una trama cucita ad arte dall’estrema destra per abbatterlo politicamente. “Il tempo metterà le cose al loro posto”, ha tuonato con aria indispettita, evocando l’ombra di un clamoroso macchinario giudiziario costruito per decapitare il governo progressista.
Quello del “complotto giudiziario” è un copione vecchio come il mondo. Quando i magistrati toccano affari delicati, puntualmente i politici gridano al linciaggio. Succede in Italia, dove la retorica delle “toghe politicizzate” è diventata un classico bipartisan: usato prima da Berlusconi, rilanciato dai renziani, e oggi agitato anche da pezzi della destra di governo.
Succede in Francia, dove Marine Le Pen ha spesso parlato di processi a orologeria. Ora succede in Spagna: Sanchez rivendica il ruolo della vittima perseguitata, mentre metà del Paese – soprattutto le opposizioni – non gli crede più.
Il copione è sempre lo stesso: la magistratura scopre le pieghe scomode, i leader colpiti non rispondono nel merito, ma alzano il muro della delegittimazione. Non spiegano le operazioni contestate, non forniscono chiarimenti trasparenti, ma alimentano il sospetto che esista un “grande fratello giudiziario” pronto a sabotare la democrazia.
David Sánchez, fratello del premier, è accusato di aver intrecciato la sua posizione amministrativa con rapporti poco limpidi di natura politica ed economica. Sospetti di corruzione che hanno spinto i magistrati a procedere al rinvio a giudizio. Ma a fare scalpore è soprattutto il caso della moglie, Begoña Gómez, coinvolta in un’inchiesta di presunti favori legati al mondo degli appalti e dell’università.
La combinazione è devastante: non si parla di lontani collaboratori o deputati di secondo rango, ma della cerchia ristretta della famiglia del premier. Un intreccio che inevitabilmente apre falle politiche enormi. E infatti le opposizioni – dai popolari alla destra di Vox – chiedono apertamente le dimissioni. Non tanto “per colpa d’altri”, ma perché “la responsabilità politica è stata già condannata”: un primo ministro che non riesce a separare il proprio ruolo pubblico dagli scandali privati diventa ingestibile a livello istituzionale.
Ed è qui che nasce la grande domanda: fino a che punto l’opinione pubblica può sopportare questa eterna narrazione della persecuzione giudiziaria? Quanti “complotto delle toghe” si possono ascoltare prima che la retorica si svuoti definitivamente?
Il problema è che Sanchez, pur rivendicando la buona fede dei suoi familiari, non affronta mai il cuore delle accuse. Non spiega, non documenta, non chiarisce. Si limita a denunciare il “disegno” dell’opposizione. Una mossa che funziona solo parzialmente: galvanizza l’elettorato più radicale della sua base, ma allontana il ceto medio, stanco di teatrini.
Quando il premier socialista dice che “il tempo metterà le cose al loro posto”, sembra quasi ammettere che, al momento, di risposte concrete non ce ne sono. E restare in silenzio significa lasciare campo libero alle illazioni peggiori, soprattutto in un Paese spaccato come la Spagna.