Negli ultimi anni, il tema delle manifestazioni di protesta e del dissenso pubblico è entrato con forza nel dibattito italiano. Non è più solo una questione di piazze gremite o slogan urlati: oggi la protesta è un termometro che misura la fiducia – o la sfiducia – dei cittadini nella capacità della politica di ascoltare.
Un’indagine Ipsos per Amnesty International del 2023 ha raccontato bene questa tensione. Da una parte, il 59% degli italiani ha partecipato almeno una volta a una manifestazione; dall’altra, un consistente 41% non lo ha mai fatto, spesso non per ostilità, ma per disinteresse o mancanza di motivazioni personali.
Chi ha scelto di scendere in piazza, lo ha fatto soprattutto con forme di mobilitazione più tradizionali: lo sciopero, indicato dal 45% degli intervistati, e le manifestazioni contro decisioni politiche specifiche, scelte dal 31%.
In misura minore compaiono presidi, flash mob e proteste legate all’uso di spazi pubblici. I temi che spingono le persone ad attivarsi restano molto concreti: lavoro, clima e ambiente, salute, diritti delle donne, pensioni e guerre.
Insomma, le paure e le speranze che attraversano la società trovano nelle piazze uno spazio di espressione. Eppure, proprio qui si apre il paradosso. Una persona su cinque non crede che in Italia esista pienamente il diritto di manifestare, mentre quasi tre italiani su quattro (72%) riconoscono l’importanza delle proteste per stimolare il cambiamento.
Solo il 63% ritiene che siano davvero necessarie per ottenere risultati, e appena il 37% le considera lo strumento più efficace per attirare l’attenzione delle istituzioni. La protesta, insomma, appare utile sul piano simbolico, ma non viene percepita come un’arma in grado di cambiare davvero le decisioni politiche.
Non tutte le forme di dissenso hanno lo stesso grado di accettazione. Lo sciopero resta il re delle mobilitazioni: il 47% lo giudica “del tutto accettabile” e il 41% “abbastanza accettabile”. Anche le manifestazioni di rivendicazione dei diritti raccolgono largo consenso, con il 68% che le considera legittime.
Ma il quadro cambia con azioni più dirompenti: solo il 26% accetta i flash mob, e il sostegno crolla di fronte a occupazioni di immobili (inaccettabili per il 48%) o blocchi stradali, respinti da quasi una persona su due.
In altre parole, gli italiani tendono a privilegiare le proteste tradizionali e ordinate, mentre guardano con sospetto a quelle che incidono direttamente sulla vita quotidiana.
Un dato colpisce: quasi la metà degli intervistati (48%) percepisce la partecipazione alle proteste come una moda. È la spia di una certa disillusione, ma anche del fatto che manifestare viene talvolta interpretato come un gesto simbolico più che come un impegno duraturo.
Allo stesso tempo, però, il 69% riconosce che le manifestazioni hanno comunque un ruolo importante per sensibilizzare cittadini e istituzioni. La piazza resta dunque un palcoscenico necessario: forse non sempre risolutivo, ma capace di accendere riflettori su temi altrimenti dimenticati.
Il rapporto tra cittadini e protesta in Italia è complesso e attraversato da contraddizioni. La maggioranza riconosce che scendere in piazza serve a far emergere diritti, conflitti e urgenze sociali, ma pochi credono nella sua efficacia reale. Per i movimenti sociali la sfida sarà ritrovare credibilità e intercettare quella parte di popolazione che resta silente.
Per le istituzioni, invece, si tratta di ascoltare davvero: trasformare la protesta da grido simbolico a occasione di dialogo e cambiamento. Senza questo passaggio, le piazze rischiano di restare luoghi di sfogo più che di trasformazione.