29 Sep, 2025 - 16:11

Niccolò Celesti lascia la Global Sumud Flotilla: ecco chi è e le ragioni dietro questa scelta

Niccolò Celesti lascia la Global Sumud Flotilla: ecco chi è e le ragioni dietro questa scelta

Il fotoreporter Niccolò Celesti ha lasciato la Global Sumud Flotilla mentre la nave era ancora in mare, una scelta che ha generato discussioni fra i partecipanti e raccolto attenzione mediatica.

Ha riferito di essere sbarcato dopo aver chiarito le proprie intenzioni con alcuni membri del comitato direttivo, in particolare con Thiago Ávila, e di essere tornato a terra senza drammi ma con la convinzione che la missione stesse cambiando pelle rispetto a quanto era stato promesso.

Celesti ha spiegato che non si è trattato di un gesto di sfiducia verso l’obiettivo umanitario, ma di una decisione presa per evitare tensioni interne e per non esporre volontari e civili a rischi che, a suo avviso, non erano stati valutati a fondo.

Ha detto anche di essere partito diretto verso Creta e di avere in programma di rientrare in Italia per proseguire altri impegni umanitari, mantenendo l’intenzione di sostenere Gaza con modalità condivise e più sicure.

Chi è Niccolò Celesti

Celesti viene descritto, secondo la biografia del suo sito, come un fotografo e fotoreporter che ha costruito la propria esperienza sul campo, dalla vita da assistente e l’apprendimento autodidatta fino agli studi al London College of Communication.

Ha lavorato per anni seguendo storie complesse — dal narcotraffico in Colombia allo sfruttamento della prostituzione, passando per indagini in Africa e reportage in Europa — e ha collaborato con testate e colleghi di primo piano.

Negli ultimi anni ha inserito il video nel suo repertorio e si è confrontato con progetti ardui, come il reportage sulla Sierra Leone prodotto da “Le Iene” e la copertura della guerra in Ucraina: il ritratto che emerge è quello di un professionista che alterna inchiesta e immagine per raccontare situazioni di grave criticità senza cedimenti retorici.

Perché ha abbandonato la Flotilla

Celesti ha raccontato sul Corriere della Sera che la frattura è nata quando le “linee rosse” comunicate durante i training a Catania sono apparse meno nette durante la navigazione: quello che era stato promesso come un presidio in acque internazionali, volto a suscitare attenzione internazionale, si stava trasformando in un’azione che avrebbe potuto oltrepassare aree controllate da Israele.

Ha detto di aver provato a proporre soluzioni alternative — tra cui la consegna degli aiuti via Cipro fino al confine con Gaza, accompagnata da giornalisti e attivisti — ma che le sue proposte non hanno trovato seguito.

Ha spiegato di non nutrire paura fine a se stessa, bensì la volontà di non cercare il martirio senza una strategia concreta: l’avvertimento delle autorità italiane, esplicitato anche da dichiarazioni istituzionali, lo aveva convinto che il rischio per la vita poteva superare il beneficio operativo.

Divergenze e missione

Le divergenze, ha detto, non erano sul fine — aiutare il popolo palestinese — ma sulle modalità e sulla valutazione del rischio.

Celesti ha sottolineato che azioni di forte impatto simbolico funzionano solo se accompagnate da pianificazione, protezione dei volontari e considerazione delle conseguenze per i civili: dall’imbarco e dallo sbarco degli aiuti potrebbe scaturire confusione e violenza, con esiti tragici.

Pur riconoscendo il valore politico e mediatico della Flotilla, ha motivato il suo passo indietro come un atto di responsabilità personale e professionale, deciso per non alimentare tensioni interne e per sollecitare maggiore trasparenza e strategie più realistiche.

Ha aggiunto che continuerà a sostenere iniziative umanitarie, ma solo quando le modalità saranno condivise e i rischi valutati collettivamente.

LEGGI ANCHE