Il piano di Donald Trump per Gaza, presentato come una “svolta storica”, ha subito polarizzato l’opinione internazionale. Tra promesse di cessate il fuoco immediato, scambio di ostaggi e ricostruzione della Striscia, il documento di 21 punti appare, agli occhi degli esperti, un mix di ambizione retorica e contraddizioni operative.
Il progetto propone di escludere Hamas dal futuro governo di Gaza e affidare il controllo a una forza internazionale, con investimenti e incentivi economici destinati ai residenti.
Tuttavia, dietro le dichiarazioni trionfalistiche si intravedono limiti pratici, rischi di destabilizzazione e la totale mancanza di consenso locale, elementi che rendono l’iniziativa più un esercizio propagandistico che un vero piano di pace.
Il piano ruota attorno a punti delicatissimi: un cessate il fuoco subordinato a uno scambio di ostaggi, liberazioni e rilasci di prigionieri, e un percorso graduale di ricostruzione e deradicalizzazione.
La proposta di una “Riviera del Medio Oriente” appare irrealistica, considerando le macerie, le tensioni sociali e la fragilità politica della Striscia. La promessa di uno Stato palestinese futuro è subordinata a condizioni vaghe di stabilità e deradicalizzazione, senza alcuna road map concreta.
Anche la presenza di una forza internazionale per sostituire Hamas solleva interrogativi: come si potrà garantire sicurezza e consenso in assenza di un reale accordo locale? Il piano di Trump, pur criticabile su molti fronti, mostra almeno la volontà di affrontare questioni strutturali, a differenza di alcune reazioni europee e italiane.
È qui che il quadro diventa paradossale: l’Italia, che dovrebbe avere un ruolo di mediazione responsabile - o almeno così è sembrato -, si limita a un applauso acritico. Il governo Meloni definisce il piano “ambizioso e utile” per la stabilizzazione della Striscia, ma non affronta i nodi centrali: l’esclusione di Hamas, la gestione dei profughi e le implicazioni di sicurezza.
Anche il centro strizza l'occhio timidamente. Carlo Calenda esalta la non-annessione della Cisgiordania e il governo tecnico proposto. Scontato il post di Matteo Salvini che si unisce all’entusiasmo dei pro-Trump, definendo il piano una “splendida notizia” e ringraziando il presidente, riducendo così la questione complessa della pace a una semplice questione di retorica pro-Israele e sicurezza nazionale.
Non manca, sorprendentemente, il sostegno di Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva non elogia il piano di Trump ma il possibile ruolo dell'ex premier britannico Tony Blair invitando a non ascoltare quanto dicono i giornali sul suo conto:
In questo contesto, l’Italia appare come un osservatore acritico, pronta a sostenere una proposta esterna senza chiedere garanzie concrete o esercitare pressioni reali su Israele o su altre parti coinvolte.
L’enfasi sulla retorica della pace e sulla stabilizzazione economica non compensa la mancanza di iniziativa diplomatica seria e la superficialità con cui vengono trattati temi strutturali: diritti dei palestinesi, partecipazione politica e sicurezza dei civili restano temi secondari.
In sostanza, l’Italia sembra più interessata a mostrarsi allineata agli Stati Uniti che a garantire una politica coerente di mediazione, sacrificando qualsiasi ruolo reale di tutela dei valori internazionali.
Chi resta critico sul piano di Trump? L'opposizione, anche se pochi commentano nella giornata successiva alla sconfitta nelle Marche. Secondo l'esponente dem Taruffi è ineludibile il riconoscimento della Palestina.
Le critiche internazionali non mancano: Hamas respinge il piano come “inaccettabile”, denunciando la predominanza israeliana e il ruolo di garante internazionale di Tony Blair.
Paesi arabi chiave, pur aperti alla cooperazione, insistono sulla soluzione “due popoli due Stati”, con Gaza integrata con la Cisgiordania, secondo le leggi internazionali.
L’Italia, invece, sembra ignorare queste tensioni e limitarsi a un approccio celebrativo, rischiando di perdere credibilità diplomatica.
L'Europa non sembra avere un parere tanto differente da quello italiano. L'Alta rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Kaja Kallas ha infatti ribadito sui social che il piano di Trump sembra il miglior modo per porre fine al conflitto. Pareri positivi, in attesa della risposta concreta di Hamas all'ultima trovata di Trump: da un "sì" o un "no" potrebbero dipendere le sorti del Medio Oriente nei prossimi mesi.