Nel giorno dopo la sconfitta elettorale nelle Marche, al centrosinistra tocca guardarsi allo specchio.
La sconfitta registrata ieri non è stata banale: la riconferma senza fatica del presidente uscente di centrodestra, Francesco Acquaroli, non lascia infatti spazio a tentativi di autoassoluzione.
Il candidato del Pd, Matteo Ricci – europarlamentare ed ex sindaco di Pesaro – si è fermato a otto punti di distanza: troppo per archiviare la partita come un semplice incidente di percorso.
Un divario che merita una riflessione: il voto regionale è stato un test locale, certamente, ma anche un banco di prova per la credibilità della proposta politica che l’opposizione intende mettere in campo in vista della sfida a Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 2027.
Il partito più attraversato dai malumori resta il Partito Democratico, dove l’insofferenza dell’ala riformista è ormai palpabile. A pesare è la linea movimentista e identitaria imposta da Elly Schlein, che punta a costruire il cosiddetto campo largo con sinistra, ambientalisti e progressisti a ogni costo.
Un progetto che, date le sue contraddizioni, ha imposto ad oggi di sacrificare il dialogo interno, ponendo al margine le posizioni di chi chiede equilibrio tra le diverse anime del partito.
A dare voce a questo disagio oggi è stata nuovamente Pina Picierno, europarlamentare dem e vicepresidente del Parlamento europeo: da mesi è lei il volto più riconoscibile della frangia riformista che si contrappone alla linea imposta dalla segretaria.
Intervistata dal Corriere, Picierno ha iniziato con le frasi di rito – il riconoscimento del contributo di Ricci, il dramma dell’astensionismo – ma non ha perso tempo nel rilanciare la prima bordata contro Schlein.
Ad essere messa in discussione, in particolare, la scelta di provare a polarizzare il voto marchigiano nelle settimane finali sul tema della guerra a Gaza. "Non serve polarizzare il campo progressista – ha avvisato – si finisce solo per rafforzare le destre, che sanno usare molto meglio questa dinamica".
La critica più dura, però, Picierno l’ha riservata al progetto di costruzione del campo largo, su cui Schlein lavora con tenacia sin dalla sua elezione a segretaria, difendendolo strenuamente dallo scetticismo della fronda interna del PD e dall’incertezza dei partiti alleati, M5S e Avs, spesso poco inclini a seguirla ciecamente.
Su questo punto, Picierno non ha usato mezzi termini: "L’unità della coalizione non basta se non costruiamo un profilo credibile e riconoscibile. C’è ancora tanto lavoro da fare: una proposta di governo non può fondarsi solo su aritmetica e pallottoliere".
In altre parole, una politica unita esclusivamente dall’anti-Meloni "pensata per impedire che un elettore della destra si rechi alle urne", ha già mostrato, secondo Picierno, tutti i suoi limiti.
Pur concentrandosi sulle prossime sfide elettorali – Calabria, Campania, Veneto e Toscana – Picierno ha sottolineato l’urgenza di un confronto aperto tra la segretaria e l’ala riformista.
Pur garantendo la promessa di non interferire con gli equilibri della coalizione in questo delicato periodo elettorale, la vicepresidente del Parlamento europeo si è comunque riservata la possibilità di togliersi un sassolino dalla scarpa.
"Non siamo un partito abituato ad avere manovratori e, pertanto, neanche a disturbarli", ha detto, probabilmente alludendo a critiche già avanzate in passato sulla gestione “dell’alto” della segretaria Schlein.
Non è solo una questione di spazio: l’ala riformista chiede da mesi meno appiattimento verso posizioni più estreme rispetto della tradizione centrista che ha sempre contraddistinto il PD.
In passate interviste, Picierno è arrivata a definire il Pd di Schlein come "incastrato nel passato", concentrato su temi identitari che, sottolinea, finora hanno favorito soltanto le destre.
Un esempio? Le politiche sul lavoro, cavalcate da Schlein e allineate alle posizioni della CGIL nel referendum di giugno, quando secondo Picierno "la vera lotta dovrebbe essere contro il privilegio, la rendita e il capitalismo relazionale all’italiana, non contro una presunta deriva padronale".
Lo stesso appiattimento, secondo Picierno, non può valere per la gestione dei dossier internazionali.
Non è un caso che, nella maggior parte delle sue uscite pubbliche divergenti dalla linea Schlein, abbia evidenziato le contraddizioni del nuovo PD in politica estera, spesso costretto a inseguire le posizioni degli alleati – Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra – da sempre a dir poco tiepidi sul sostegno all’Ucraina e contrari ai piani di riarmo europei.
Ecco perché, pur non avendo mai avanzato l’intenzione di sfidare la segretaria e sottolineando il valore del pluralismo nel dna del Partito Democratico, le parole di Picierno mettono in luce il paradosso di un partito a vocazione maggioritaria che, candidandosi a guidare il fronte anti-Meloni, vive di doppie distanze: dalle posizioni interne e dagli alleati.
Come potrà allora il PD a due anime diventare davvero l’anima del campo largo?