Il recente piano presentato dal presidente Donald Trump per la Striscia di Gaza si presenta come una soluzione di pace, ma analizzandolo nei dettagli emerge lo spettro di un progetto volto a proseguire la guerra, delegando a Israele la libertà di azione contro i palestinesi.
Su Il Manifesto, Alberto Negri (tra i massimi esperti di politica estera e Medio Oriente), scrive che la vera domanda posta da questo piano non è se porterà pace, ma quanto sia destinato ad affossare ogni barlume di sovranità palestinese, offrendo al governo di Benjamin Netanyahu il «sostegno totale degli Stati Uniti» per continuare le operazioni militari, qualora Hamas dovesse rifiutare le condizioni imposte.
La logica imposta da Trump e Netanyahu è chiara: se Hamas non accetterà il piano, Israele avrà mano libera per proseguire il conflitto, una minaccia esplicita che rischia di perpetuare la spirale di violenza e di impedire qualsiasi reale processo negoziale.
Questo approccio traduce la politica estera americana in un ultimatum senza vie di uscita per i palestinesi: o accettare una proposta calata dall’alto, o subire la prosecuzione della guerra e dell’occupazione.
Negri sottolinea come il piano di Trump non contempli una data per il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, lasciando di fatto l’occupazione militare inalterata. Non solo: la temporanea rinuncia all’annessione dei territori e all’espulsione dei palestinesi viene bilanciata dal diritto per l’autorità di transizione di concedere “permessi di uscita”, mantenendo così il controllo totale sulla popolazione locale.
Nessun piano di ricostruzione o di autodeterminazione reale viene offerto ai palestinesi, che rimangono prigionieri di una logica coloniale che nega il diritto fondamentale a uno Stato indipendente.
A rendere ancora più inquietante il quadro è la proposta che la gestione della Striscia venga affidata, oltre che a Trump, all’ex primo ministro britannico Tony Blair, figura controversa che rappresenta agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il volto del “colonialismo 2.0” e delle guerre condotte su false premesse, come quella in Iraq.
La presenza di Blair segnala la volontà di riproporre vecchi schemi di dominio occidentale in un contesto già devastato da decenni di conflitti e da una drammatica emergenza umanitaria.
Se sul piano internazionale il piano di Trump tenta di mostrare un volto pragmatico e bilanciato, di fatto il testo, come rivela Negri, non fa alcun riferimento alle condizioni di vita dei palestinesi, né all’occupazione militare israeliana, né tantomeno al diritto all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato palestinese.
Anche le iniziative “di dialogo interreligioso” previste al punto 18 del piano sembrano un’operazione di facciata, finalizzata a mascherare le responsabilità degli attori coinvolti e a liquidare sotto la retorica della “coesistenza pacifica” la tragedia del popolo palestinese.
Il ritorno dell’Autorità palestinese a Gaza, previsto dal piano franco-saudita all’ONU, viene rinviato sine die, lasciando i palestinesi ancora una volta senza rappresentanza e senza prospettiva.
L'accesso al mare e la libertà di circolazione per Gaza restano preclusi, sotto il controllo degli occupanti e delle grandi potenze interessate alle ricchezze del sottosuolo, come evidenzia il caso del gas offshore mai realmente sfruttato per il bene della popolazione locale.