In Europa, l’idea di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni sta guadagnando sempre più attenzione. Alcuni Paesi hanno già tracciato la rotta, trasformando un progetto pilota in un nuovo standard.
E in Italia? Le sperimentazioni non mancano, ma si muovono ancora a piccoli passi e in ordine sparso.
Tra iniziative aziendali, aperture nella pubblica amministrazione e una proposta di legge ferma in Commissione, la rivoluzione del lavoro a settimana corta è tutt’altro che dietro l’angolo.
Ecco cosa sappiamo a oggi.
Il punto di partenza è chiaro: in Italia si lavora molto. Secondo le ultime rilevazioni, si pensi che i lavoratori autonomi superano le 47 ore settimanali, mentre i dipendenti viaggiano intorno alle 36,6. Ovviamente, si tratta di numeri che includono anche straordinari e fine settimana, in un contesto segnato da stipendi tra i più bassi d’Europa.
La conseguenza? Ridurre l’orario di lavoro senza toccare la retribuzione non è solo una questione di produttività, ma anche - e soprattutto - di sostenibilità economica per imprese e lavoratori.
Il cambiamento tocca anche la macchina pubblica. Con il rinnovo contrattuale delle Funzioni centrali, è partita nel 2025 una sperimentazione volontaria che prevede la concentrazione delle 36 ore settimanali in quattro giornate da nove ore, escluse le pause.
Non si tratta di una riduzione dell’orario, ma di una diversa distribuzione del tempo. Ferie e permessi vengono ricalcolati in base alla nuova organizzazione.
L’obiettivo è testare sul campo la fattibilità del modello anche nel settore pubblico, pur con tutte le difficoltà del caso.
Mentre in Italia il dibattito resta aperto, altri Paesi europei procedono spediti. La Spagna, ad esempio, ha approvato una legge che riduce ufficialmente la settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore senza intaccare i salari.
Una riforma strutturale che rappresenta un punto di riferimento per chi, anche in Italia, spinge per un cambio di paradigma.
Anche nel nostro Paese è stata depositata una proposta di legge per regolamentare la settimana corta, con applicazione potenziale sia nel pubblico che nel privato.
Tuttavia, la proposta è attualmente bloccata, con forti dubbi sull’impatto finanziario della misura. Secondo le stime preliminari, il solo settore privato potrebbe comportare un costo per le casse pubbliche di oltre otto miliardi di euro, sulla base dei dati raccolti da INPS e Ministero del Lavoro.
La settimana lavorativa corta, in Italia, è ancora lontana dall’essere una realtà diffusa. Al momento si tratta soprattutto di esperimenti promossi da aziende lungimiranti o da settori in grado di gestire con flessibilità la produttività. La strada verso una regolamentazione condivisa e sistemica è ancora lunga e irta di ostacoli.
Quello che appare chiaro, però, è che il dibattito è ormai aperto e destinato a crescere. Più che una semplice questione di orari, si tratta di ripensare il rapporto tra lavoro e qualità della vita, tra produttività e benessere. Un cambio di passo che, prima ancora di arrivare in Parlamento, dovrà maturare nella cultura del lavoro italiana.