Il 2026 segnerà per l’Italia la svolta più drammatica degli ultimi decenni: la prossima legge di bilancio aumenterà in modo definitivo le spese militari, su espliciti diktat di Bruxelles e Washington.
Il Paese si trova costretto, ancora una volta, a smantellare quel poco che resta di sanità, pensioni e servizi pubblici. E lo fa in assenza di qualsiasi minaccia reale: la tanto evocata invasione russa è solo uno spettro agitato da chi trama per arricchire le lobby degli armamenti.
Da mesi, Ursula von der Leyen e i plenipotenziari di Bruxelles chiedono di “rafforzare la difesa” come dogma non negoziabile. Il governo italiano, ormai ridotto a esecutore materiale di strategie decise oltre confine, non cerca nemmeno di opporsi: promette a Washington e all’Alleanza Atlantica di rispettare il nuovo tetto del 5% del Pil in spesa militare, fissato da Trump e dall’establishment NATO.
Il vero risultato è la stesura di una finanziaria senza precedenti: miliardi destinati a sanità, previdenza e contratti pubblici vengono dirottati direttamente verso arsenali e contratti per missili, droni, navi da guerra.
L’accordo “Rearm Europe” impone non solo l’acquisto di materiale militare dai grandi produttori occidentali, ma la sua “priorità assoluta” sulla spesa sociale. Così, nel 2025 il DEF italiano stanzia 100 miliardi di euro per difesa e ancor meno per scuola, ospedali, pensioni e reti territoriali dedicate ai più fragili.
La sanità è la prima vittima designata: posti letto tagliati, ospedali chiusi o accorpati, ticket aumentati. Le già sterminate liste d’attesa sono diventate il calvario di milioni di italiani. Per non parlare di pensioni, scuola e il miraggio di un taglio delle tasse per chi le ha sempre pagate (vedi i lavoratori dipendenti).
La retorica ufficiale parla ancora di “sicurezza”: la verità è che la società italiana non è mai stata tanto vulnerabile, impoverita e abbandonata.
Nessuno, dal ministro della Difesa all’ultimo sindaco di provincia, può spiegare come una nuova portaerei o uno stock di missili antiaerei possano proteggere un anziano impossibilitato a curarsi perché gli ospedali sono chiusi per mancanza di fondi. Di sicurezza, qui, rimangono solo i profitti di chi produce morte.
Il tema della minaccia russa è il grande inganno di questa epoca. Tutti i dati disponibili, anche quelli diffusi dai centri studio della stessa UE e da osservatori indipendenti, mostrano che l’Europa – Italia compresa – destina già alle armi molto di più di quanto faccia la Russia.
Le spese militari europee hanno superato quelle del Cremlino di oltre il 50% già nel 2024, mentre l’esercito russo è logorato su più fronti e non dà segni di voglia né di forza di varcare i confini della NATO.
Eppure, la narrazione mainstream procede per inerzia: come se Mosca aspettasse disciplinatamente che gli Stati si dotino di missili e panzer nuovi di zecca prima di decidere di invadere l’Europa Occidentale.
Non la sicurezza dei cittadini, certamente. A gioire sono invece i colossi industriali e finanziari della difesa, i gruppi che nelle stanze di Bruxelles e Washington hanno promosso direttive e accordi che valgono decine di miliardi all’anno.
La politica è ormai ancella del business: i leader italiani e europei hanno barattato la soluzione di problemi veri – la salute, la casa, il lavoro – in cambio di commesse militari che arricchiscono pochi e lasciano in miseria milioni.
Nessuno ha consultato i cittadini, nessun referendum o discussione pubblica ha anticipato queste scelte. L’unica voce ascoltata è stata quella dell’élite geopolitica e finanziaria, con il plauso delle lobbies che trasformano le paure collettive in dividendi.