Palermo di notte, quando è deserta, sembra un luogo incantato dove avviene una magia suggestiva. Se lo scirocco arriva improvviso il vento bollente corre rapido per i vicoli del centro storico sfiorando, divertito e malizioso, le facciate in rovina dei palazzi più antichi. Le statue di piazza Pretoria e dei Quattro Canti, solleticate da quell’aria calda e birichina, sembrano sorridere nel silenzio mistico delle ore notturne, illuminate dalla luce fioca dei lampioni vecchi e stanchi, mentre qualche topo sgattaiola via in cerca di cibo.
E proprio in quelle strade magiche prende vita un paradosso secondo il quale a pochi metri da un quartiere esteticamente sfarzoso, ad esempio quello della Cattedrale, in realtà ci vive chi è cresciuto tra fame e miseria. Così anche nella periferia cruda e violenta, spesso i bambini crescono come gatti randagi, imparando troppo presto a tirare a campare. Immaginatevi borghi pieni di occhioni più grandi dello stomaco, dallo sguardo vispo e vivace, su volti un po’ sporchi e dall’espressione assai furba. Piccini abbandonati a se stessi, abituati a riunirsi in gruppo per non stare da soli e nessuno a insegnare loro un mestiere, l’educazione, il valore del lavoro e della giustizia o cosa sia una retta morale e il rispetto degli altri.
Ecco, è in siffatto contesto che secoli fa la mente feconda di qualche siciliano della peggior specie ha partorito un'idea che ha dato vita alla mafia. Cosa Nostra l’hanno chiamata, come se fosse una figlia femmina da proteggere a ogni costo e come se appartenesse all’identità di un popolo intero. È da allora che la Sicilia, in particolare Palermo, per l’ideale comune è rappresentata da atti di prevaricazione, prepotenze, nefandezze, ma soprattutto omertà.
Eppure Palermo non è questo, o almeno non solo: è una terra così piena di storia e cultura che soltanto a pensarci mi brillano gli occhi, emozionata e febbricitante come se fossi una ragazzina alla sua prima cotta. È stata la terra di Pirandello, di Sciascia, di Quasimodo, di Camilleri, di Laura di Falco, di Goliarda Sapienza, di Maria Messina, ma anche di Rocco Chinnici, di Peppino Impastato, di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di molti altri.
E allora com’è stato possibile che migliaia di uomini si siano sporcati indisturbatamente le mani di sangue, incutendo terrore tra ricatti e atti prevaricatori, per centinaia di anni? Seppur difficile da accettare, le ragioni sono da ricondurre al sopracitato problema di mal accudimento infantile e ai forti contesti d’abuso che sono sorti nella povertà, che hanno trasformato futuri adulti in giovani bestie senza coscienza.
Ma questa non è e non sarà mai una scusante sufficiente e qualcuno che ha tentato di mettere in ginocchio Cosa Nostra in verità c’è stato, in molti casi perdendo anche la vita. Difatti il 10 febbraio del 1986 ha avuto inizio quello che fu poi riconosciuto il più grande processo nella storia della criminalità organizzata, con 475 imputati, poi scesi a 460, 19 ergastoli e 2665 anni di reclusione. Durante la seconda guerra di mafia, avvenuta agli inizi degli anni ottanta, due fazioni mafiose, quella dei corleonesi, con a capo Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, e quella palermitana, guidata da Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Gaetano Badalamenti, si contesero il territorio all’ultimo sangue, arrivando a commettere almeno un omicidio al giorno e tra il 1981 e il 1983 vennero commesse circa 600 uccisioni.
Una carneficina interrotta grazie alla squadra antimafia, ma soprattutto alle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, chiamato il boss dei due mondi per via delle sue lunghe permanenze in America, scappato in Brasile giusto in quegli anni. L’inizio del maxiprocesso ha segnato un punto importantissimo di frattura per le associazioni mafiose siciliane, ma purtroppo le elevatissime condanne hanno poi dato inizio a una nuova era, quella delle stragi per ricattare lo Stato, durante le quali sono state uccise persone valorose come Falcone e Borsellino.
Oggi, 19 ottobre 2025, è stato presentato in anteprima e fuori concorso, nella sezione Freestyle, il lungometraggio La Camera di Consiglio della regista Fiorella Infascelli. Scritto insieme allo sceneggiatore Mimmo Rafele e con la collaborazione di Francesco La Licata, il film ripercorre i 36 lunghissimi giorni di camera di consiglio, durante i quali gli otto giurati della giuria popolare sono stati rinchiusi in un bunker del carcere Ucciardone di Palermo, per scegliere chi assolvere e chi condannare tra i 460 imputati.
Opera corale dalla forte impostazione teatrale, con un solido cast di pregio, formato da Sergio Rubini, Massimo Popolizio, Roberta Rigano, Anna Della Rosa, Claudio Bigagli, Betty Pedrazzi, Rosario Lisma, Stefania Blandeburgo, che si concentra sulla responsabilità morale di alcuni cittadini chiamati a prendere una decisione di enorme peso che grava su tutta la comunità, ritrovandosi però privati della libertà.
Girato interamente in interni, proprio come se fosse il palcoscenico di un teatro, i vari protagonisti si alternano in scena e si addentrano in una narrazione claustrofobica e ricca di tensione. Mentre analizzano i fascicoli degli imputati, gli è inevitabile scivolare in discussioni accese e dibattiti, ma anche stringere un legame profondo e sentito, simile a quello di una vera famiglia. Durante le riprese sono stati utilizzati materiali d’archivio e reperti storici.
Ho trovato molto affascinante la fotografia di Fabio Zamarion. L’unica pecca che ho riscontrato è l’eccessivo stile retorico e la teatralità spinta dei dialoghi, che appartiene più al teatro degli inizi del ‘900. Il rischio che si corre scegliendo di utilizzare un certo linguaggio è di arrivare allo spettatore emotivamente a metà. Ad ogni modo, gli individui protagonisti della pellicola rappresentano i reali giurati del maxiprocesso, che sono la vera anima della Sicilia, quella che resiste e si oppone a ogni forma di violenza.
Per concludere, io con Palermo ho sempre avuto un rapporto conflittuale come fossimo due amanti incapaci di stare assieme. Sentire parlare di mafia, dei delitti atroci commessi da chi la nostra terra l’ha sporcata e corrotta, o di criminali che sono nati nella medesima clinica dove mia madre mi ha dato alla luce mi inumidisce gli occhi, mi strazia le carni e mi tormenta i pensieri. Per La Camera di Consiglio, 3,6 stelle su 5.