Il 30 agosto del 1970 Camillo Casati Stampa uccise a fucilate la moglie Anna Fallarino e Massimo Minorenti, amante di lei, per poi suicidarsi. Il caso fece grossissimo scalpore e rimane tutt’oggi uno dei delitti più famosi e discussi del nostro Paese. Sì, perché dopo il decesso dei noti coniugi vennero fuori diversi dettagli scabrosi ed eccentrici appartenuti alla vita sessuale della coppia. Ma torniamo indietro: nel 1958 Anna Fallarino, all’epoca già sposata con l’ingegnere Giuseppe Drommi, a Cannes incontrò per la prima volta Camillo Casati Stampa, ricco possidente ed ex marchese, già stato coniugato in precedenza anche lui. Divenuti da subito amanti, in seguito la Fallarino riuscì a ottenere l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota e nel 1959 lei e Casati Stampa si sposarono.
Durante il viaggio di nozze Camillo le rivelò di avere una forte passione voyeuristica e la spinse a intrattenere rapporti sessuali con giovani partner occasionali, spesso retribuiti, chiedendole anche di lasciarsi fotografare durante gli atti di passione fugaci. Col passare del tempo Casati Stampa cominciò a sviluppare una vera e propria sorta di ossessione nei confronti della moglie e una grave paranoia, espressa negli scritti del suo diario personale, che lo portò a ipotizzare che Anna potesse provare un coinvolgimento sentimentale nei riguardi dei suoi amanti. Il che per lui era diventato un pensiero insopportabile: per quanto prediligesse vederla sedotta, penetrata e soddisfatta da altri uomini, l’idea che lei potesse affezionarvisi romanticamente lo feriva a morte.
Fra i due subentrò dunque una grave crisi matrimoniale, che indusse Anna a divenire sempre più triste. A questo punto della storia fece il suo ingresso Massimo Minorenti, studente di scienze politiche, già conosciuto alla cronaca mondana per una pregressa relazione con la cantante e showgirl Lola Falana. Benché Casati Stampa fosse stato il primo a pagare il ragazzo per dare seguito a degli incontri sessuali con la Fallarino, quando le frequentazioni fra i due diventarono più assidue e sospette, Camillo iniziò a provare degli istinti suicidari. Fino ad arrivare alla notte del 30 agosto 1970 quando, dopo essersi assentato per una battuta di caccia, Camillo chiamando a casa sua e, sentendosi rispondere da Minorenti, rincasò di tutta fretta. Una volta arrivato chiese alla servitù di non seguirlo e di non disturbarlo per alcun motivo. Poi si recò in salotto, dove Anna e Massimo lo stavano aspettando, sparò a entrambi e infine si suicidò.
Il regista Andrea De Sica, ispirandosi alla vicenda, ha deciso di farne il suo terzo lungometraggio, intitolandolo Gli Occhi degli Altri, che è stato presentato in anteprima alla 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma; dove l’attrice Jasmine Trinca ha ricevuto il premio Monica Vitti come miglior attrice, proprio per aver interpretato la Fallarino all’interno della pellicola. La sceneggiatura, scritta da De Sica stesso, insieme agli sceneggiatori Gianni Romoli e Silvana Tamma, è una libera rivisitazione del delitto e della storia d’amore dei due coniugi.
Ahimè, il film parte male dapprincipio. In primis mi hanno negativamente colpita le inquadrature sbagliate, tendenti a mozzare qualunque tipo di immagine: dai primi piani, ai medi o addirittura ai campi lunghi. La fotografia, che doveva ricordare gli anni ’60, in verità rende l’intera opera fastidiosa da guardare. Il trucco a Timi e alla Trinca mira a mortificarli nella loro estetica anziché metterli in risalto. I dialoghi, banali e inconsistenti, vengono recitati con una lentezza flemmatica insostenibile fra una parola e l’altra. Il ritratto della dissolutezza più spregiudicata mi è risultata davvero difficile da digerire. Mi spiace, ma a parte l’interpretazione della Trinca, attrice dal talento brillante, dall’umanità viva (dentro e fuori dal set), e dalla bellezza molto affascinante, Gli Occhi degli Altri è un prodotto che reputo terribile. 1,4 stelle su 5.